Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2011/2012
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto GIOVANNI MEONI
Gilda DÉSIRÉE RANCATORE
Il duca di Mantova PIERO PRETTI
Sparafucile ALESSANDRO GUERZONI
Maddalena IRINI KARAIANNI
Giovanna MARIA DI MAURO
Il conte di Monterone ZIYAN ATFEH
Marullo ARMANDO GABBA
Matteo Borsa MATTHEW PENA
Il conte di Ceprano DAVIDE MOTTA FRÉ
La contessa di Ceprano IVANA CRAVERO
Un usciere FRANCO RIZZO
Il paggio della duchessa PIERINA TRIVERO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia e luci Fabio Banfo
Scene Luca Ghiradossi
Costumi Valentina Caspani
Allestimento Teatro Regio
Torino, 14 marzo 2012
È probabilmente una pia illusione dei critici pensare che le proprie recensioni abbiano un’influenza sulle decisioni degli artisti; tuttavia, quando i fatti sembrano confermare questa illusione, la vanità dell’ego intellettuale non si trattiene dal farlo sapere ai propri lettori. Così, dopo aver assistito alla ripresa di questo Rigoletto che al Regio ha debuttato nello scorso aprile, non posso che osservare con piacere come lo spettacolo, che in buona sostanza è rimasto identico a se stesso, sia stato emendato in due dettagli che avevo messo in luce nella recensione del 2011 (link alla pagina): il corpo di Gilda, dopo l’assassinio, non viene più consegnato a Rigoletto dentro un’assurda cassapanca, ma viene avvolto in un lenzuolo, che non sarà un sacco di juta ma ad esso almeno si avvicina (ed al sacco Verdi teneva moltissimo); inoltre, è stato introdotto l’intervallo anche al termine del II atto.
Dal punto di vista musicale l’esecuzione è stata molto interessante, per quanto gli interpreti non fossero di livello omogeneo, ed ha confermato i buoni propositi del Regio sulla vitalità delle recite “di repertorio”. Particolarmente significativo il Duca proposto dal tenore Piero Pretti, a cui qualcuno in sala attribuiva un portamento scenico da Turiddu; osservazione non sbagliata, se con questo si vuol sottolineare come Pretti abbia messo in luce la natura sfacciata del Duca, spogliandolo di ogni leggiadria signorile per farlo apparire come figura istintivamente grezza. Per fortuna, però, Pretti non è stato Turiddu nella voce, di cui ha anzi saputo ben coniugare la natura di grazia con un fraseggio schietto e quasi sprezzante, come ben emerso al termine di «La donna è mobile»; un po’ più di carezzevole morbidezza avrebbe forse giovato nel cantabile dell’aria del II atto, momento di repentino quanto transitorio cambiamento della personalità del Duca, ma la successiva cabaletta «Possente amor mi chiama» (correttamente cantata due volte, e ci si complimenta per questo con il tenore ed il direttore) ha permesso a Pretti di sfoggiare al massimo grado la propria abilità di sottolineare, al contempo, la sfacciata assertività di chi crede che tutto sia per lui lecito alla maliziosa vena di dolcezza che investe il verso «il serto mio darei». Desirée Rancatore, soprano di coloratura per eccellenza, stava uscendo – riferiscono voci attendibili – da una lunga bronchite; questo può spiegare una certa tendenza ad inacidire il timbro nelle regioni più acute; interessante la sua interpretazione del duetto che conclude il II atto, nel quale ha messo in luce, più che la maturazione che Gilda ha rapidamente vissuto, l’aspetto di ragazza spaesata dopo un’esperienza traumatica. È difficile trovare un’interprete davvero convincente per il ruolo di Maddalena; non lo è stata il mezzosoprano Irini Karaianni, che ha saputo calarsi nel ruolo di grezza malvivente, incarnato nel terzetto della tempesta, ma non ha simulato alcuna vena sensuale, al punto da rendere poco credibile il fascino che il Duca possa provare per la sua voce umbratile e piccola. Lo Sparafucile del basso Alessandro Guerzoni era decisamente più a fuoco nel III atto che nel primo, mentre per Monterone, unico personaggio-chiave ad essere incarnato dallo stesso interprete del 2011, si è confermata la presenza autorevole del baritono Ziyan Atfeh.
Venendo al protagonista, il baritono Giovanni Meoni ha un timbro poco ammaliante che, specie nel I atto, si penalizza ulteriormente salendo di registro (problema superato col procedere della recita), ma il personaggio di Rigoletto non richiede un timbro ammaliante; quel che gli manca un po’ del suo personaggio è l’accento verdiano, col quale porre più in rilievo alcuni passaggi topici, come il grido «ah, la maledizione!» che, se è stato incisivo al termine dell’opera, nel finale I pareva una frase di conversazione. Curiosa la rapidità, sintomo di agitazione, con cui ha affrontato «Cortigiani», mentre la prima esposizione di «Sì, vendetta», senza forzare il volume della voce, ha ben rappresentato la maturazione interiore dei propositi vendicativi che precede la loro affermazione pubblica. Resta da dire del direttore Daniele Rustioni, che, dopo qualche dubbio lasciato, forse a causa della rumorosità della regia, tra il preludio e la prima scena, ha guidato con fuoco ma senza esagitazione l’orchestra del Regio, conferendo mordente all’esecuzione e confermandosi una valida promessa della direzione d’orchestra; ed è a lui, in primo luogo, che si deve il salto qualitativo che si è percepito, a livello complessivo, rispetto alle recite dello scorso aprile.