Lorenzo Fratini dirige Ives e Rossini

Bologna, Teatro Manzoni, Stagione Sinfonica 2012 del Teatro Comunale di Bologna
Lorenzo Fratini dirige Ives e Rossini
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore
Lorenzo Fratini
Soprano Valentina Corradetti
Mezzosoprano Veronica Simeoni
Tenore Celso Albelo
Basso Michele Pertusi
Charles Ives: Psalm 90, per coro misto, campane e organo
Gioachino Rossini: Petite Messe Solennelle, per soli, coro e orchestra
Bologna, 4 marzo 2012

L’accostamento tra il Salmo 90 (1894, riscritto nel 1923-24) dell’americano Charles Ives e la Petite messe solennelle (1863-34) dell’ultimo Rossini
parigino è decisamente ben trovato. Si tratta infatti di due sperimentatori solitari, l’uno mai entrato nelle luci della ribalta (se non post mortem) e l’altro in esilio volontario, che hanno con il sacro un rapporto personale ed anticonvenziale. E tutti e due, da veri maestri di stile, condividono un gioco spericolato con i confini del buon gusto. Per la verità, all’interno della bizzarra ed eclettica produzione di Ives, questo potente salmo per coro misto, organo e campane della durata di una cedina di minuti, tra i massimi capolavori della musica corale del Novecento, ha uno stile molto puro e compatto (e forse anche per questo era considerato dall’autore la sua opera più soddisfacente). Su un pedale continuo di Do mantenuto dall’organo per l’intera composizione il coro descrive un Dio tremendo impilando le più inquietanti dissonanze che si risolvono poi nelle ultime pagine in un luminoso Do maggiore colorato dallo scampanio aleatorio di chiese lontane, che umilia con la sua poesia la luce falsa di tutto questo minimalismo sacro degli ultimi vent’anni. L’esecuzione del Coro del Comunale di Bologna diretto Lorenzo Fratini (suo direttore dal gennaio 2011) ha potuto apportare alle sezioni più terribili la potenza vocale di un coro lirico ed è stata eccellente anche nei momenti più delicati (ottimo anche il breve solo del tenore Massimiliano Brusco).
Più alterna e discutibile invece l’esecuzione della messa rossiniana, eseguita nella (sublime) orchestrazione dell’autore. Da leggere, la locandina dei solisti può risultare un po’ ridicola: Michele Pertusi è il basso italiano più celebre di oggi e ha interpretato questa partitura nelle più importanti sale da concerto del mondo, Celso Albelo è il tenore belcantista del momento che insidia da vicino il primato di Flórez e Brownlee. Ma Veronica Simeoni è un mezzosoprano vincitrice di alcuni concorsi che sta cominciando ora la sua vera carriera e Valentina Corradetti è una ragazza giovanissima di grande talento facente parte della defunta Scuola dell’Opera del Comunale di Bologna, che l’ha gettata a fare qualsiasi cosa, dall’Elettra dell’Idomeneo di Mozart alla Madre del Prigioniero di Dallapiccola, dall’Elvira dell’Ernani di Verdi alla Leonora del Fidelio di Beethoven, con risultati, per forza di cose, molto alterni. Si direbbe che la direzione artistica sia partita dal basso a costruire il cast e si sia accorta a metà di avere finito i soldi. Sono felice di poter riportare che l’ascolto dà invece ragione a questa improbabile commistione di noti ed ignoti, che si sono rivelati tutti all’altezza del compito e, anzi, un quartetto particolarmente omogeneo e ben assortito. Michele Pertusi ha sfoggiato la nobiltà di sempre e con carisma e sicurezza è riuscito a sostenere l’interesse dell’ascoltatore dell’interminabile Quoniam. Nell’insospettabilmente difficile Domine Deus la voce fresca ed ardente di Celso Albelo non ha avuto cedimenti. Valentina Corradetti è perfetta per il soprano molto centrale pensato da Rossini per questa partitura, con interessanti note di petto e acuti morbidi. Il suo Crucifixus è stato molto commovente (ma qualcuno avrebbo potuto correggerle la pronuncia della frase, ripetuta sei volte, “et sepultuS (S sorda, non sonora!) est”). Veronica Simeoni, che altre volte ho dovuto criticare per una certa genericità espressiva, è stata veramente magistrale nel casto Agnus Dei mostrando la tecnica del vero mezzosoprano in quelle estese cadenze con cui terminano le prime tre frasi del pezzo, in cui ha potuto esibire una ammirevole uniformità tra i registri, mantenendo un timbro sempre ricco e risonante nei gravi come nei centri.
Purtroppo, a parte il soprano, le cui arie Rossini ha orchestrato in modo molto leggero, i solisti non hanno avuto modo di farsi sentire al meglio. Attacchi sporchi e un completo disinteresse alle ragioni acustiche ed espressive del canto (dei solisti come del coro) rivelavano un’orchestra che forse non ha provato abbastanza o che forse ha preso questo impegno con superficialità e/o una direzione maldestra. L’aria del tenore è risuonata molto più garibaldina del dovuto. L’Agnus Dei è stato semplicemente ammazzato da un tempo troppo veloce (che però, insensatamente, si fermava e rallentava per tutti i “Dona nobis pacem” del coro) e da un’orchestra turbolenta. Ma il trattamento peggiore lo hanno ricevuto le due grandi fughe corali (“Et vitam” nel Credo e Cum sancto spiritu), che hanno evocato uno spiacevole parallelo con Ives e le bande militari impazzite che si ascoltano in Three Places in New England. Il coro è stato sommerso dall’entusiasmo degli ottoni in gita scolastica ed è stato costretto a strillare tutto il tempo, senza avere la possibilità di costruire i grandi crescendo finali. Un vero peccato perché nel resto della performance, anche il delicatissimo Christe pseudo-palestriniano, la prestazione del coro è stata davvero notevole. Piuttosto sciatto il contributo di Stefano Conticello all’organo, che ha eseguito il Preludio religioso, forse la pagina più alta della composizione, un po’ scappando, un po’ rallentando, come uno che legga a prima vista. P.V.Montanari