Torino, Teatro Regio:”Ognenny Angel” (L’angelo di fuoco)

Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2011/2012
“OGNENNY ANGEL” (L’angelo di fuoco)
Opera in cinque atti e sette quadri su libretto di Sergej Prokof’ev dall’omonimo romanzo di Valerij Brjusov
Musica di Sergej Prokof’ev
Ruprecht NIKOLAJ PUTILIN
Renata OL’GA SERGEEVA
Agrippa di Nettesheim LEONID ZACHOŽAEV (7) / VASILIJ GORŠKOV (9)
Jakob Glock e Secondo cliente JURIJ ALEKSEEV
Mathias Wissman, Un servo, Terzo cliente GRIGORIJ KARASEV
Mefistofele EVGENIJ AKIMOV
Johann Faust ALEKSANDR MOROZOV
L’inquisitore ALEKSEJ TANOVICKIJ
L’indovina e La madre superiora OL’GA SAVOVA
La padrona della locanda SVETLANA VOLKOVA
L’oste VJAČESLAV LUCHANIN
Un medico VLADIMIR ŽIVOPISČEV
Primo cliente VASILIJ GORŠKOV
Due novizie TAT’JANA KRAVCOVA, MARGARITA ALAVERDJAN
Sei monache NADEŽDA VASIL’EVA, LJUDMILA KANUNNIKOVA, ELENA KARPEŠ, ALEKSANDRA KOVALEVA, EKATERINA VARFOLOMEEVA, SVETLANA KISELEVA
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore d’orchestra Valerij Gergiev
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia David Freeman
Scene e costumi David Roger
Luci Steve Whitson e Vladimir Lukasevič
Regia acrobazie Andrej Bugaev 
Allestimento Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in coproduzione con Royal Opera House-Covent Garden (Londra)
Torino, 7 e 9 febbraio 2012 

La collaborazione tra il Teatro Regio di Torino e il Mariinskij di San Pietroburgo – certamente propiziata da Gianandrea Noseda, direttore stabile del Regio e per anni braccio destro di Gergiev sul Baltico – si è concretizzata, dopo la trasferta autunnale del corpo di ballo russo, con una visita della compagnia d’opera del Mariinskij, guidata dal suo direttore principale, che ha portato uno dei propri più importanti allestimenti di repertorio. L’angelo di fuoco, eseguito ovviamente in lingua originale, è opera dalla drammaturgia potente, quasi si potrebbe dire prepotente, che viene a soggiogare ai propri scopi l’orchestra ed il canto. I solisti devono conseguentemente essere, più che cantanti, interpreti in senso pieno e saper rendere con le proprie voci e la propria presenza il significato drammaturgico di ogni personaggio. Si narra la storia di una possessione demoniaca (o, a seconda dei punti di vista, di un caso di schizofrenia con manifestazioni isteriche) di cui è vittima Renata, giovane donna convinta di essere stata cresciuta da un angelo e di averlo poi ravvisato nel conte Heinrich, col quale ha vissuto una breve storia d’amore. Aiutata dal Cavaliere Ruprecht, invano innamorato di lei, Renata ritrova Heinrich, che la respinge e ferisce Ruprecht in duello. La donna decide quindi di ritirarsi in monastero, dove, in seguito alla manifestazione di presenze demoniache che conducono le monache ad una possessione collettiva, viene condannata al rogo dall’Inquisitore.
Che Renata soffra di una sindrome schizofrenica, indipendentemente da quella che ne sia l’origine, è sicuro, basti pensare a quante volte muta atteggiamento nei confronti di Ruprecht, ora considerandolo come uno zerbino ora come il proprio salvatore, ora dichiarandogli amore ora fuggendo da lui per non essere indotta in tentazione. L’alienazione del suo carattere è emersa nell’interpretazione del soprano Ol’ga Sergeeva, fin dall’apparizione demoniaca del I atto, quando il dialogo di Renata con gli spiriti parte in tono sommesso per poi passare all’isteria. Avrebbe forse giovato una maggiore valorizzazione teatrale del lungo racconto che segue, unico passo in cui la narrazione prevale sul dramma, che è risultato un po’ piatto e monotono; e, in generale, il soprano nei primi due atti si è un po’ risparmiato rispetto alla generosa voluttuosità espressa nei duetti del III e IV atto, ed alle dolci sfumature del «perdonami Madiel» che canta quando crede di vedere l’Angelo di fuoco. Contraltare di Renata è Ruprecht, incarnato dal baritono Nikolaj Putilin, che, con la voce sicura ed il nobile temperamento, ha ben espresso il tratto cavalleresco del personaggio che, dopo un cedimento alla lascivia all’inizio della vicenda, si vota ad aiutare la donna di cui è innamorato.
Davvero una schiera sono i personaggi secondari, tra i quali spesso lo stesso interprete ricopriva più ruoli. Il filosofo Agrippa di Nettesheim è un ruolo particolarmente difficile perché il tenore che lo incarna deve essere capace di conferire autorevolezza (per quanto si tratti di autorevolezza solo apparente) alle proprie parole, mentre viene incalzato da un’orchestra particolarmente ricca e tumultuosa; nelle due recite cui ho assistito ho avuto la possibilità di ascoltare due diversi interpreti, e occorre riconoscere che il secondo, Vasilij Gorškov, è riuscito nella propria missione meglio del primo. Nel IV atto il dramma ha un’interruzione per lasciar posto a un piccolo divertissement, che vede protagoniste le figure di Faust e Mefistofele; e proprio il tenore Evgenij Akimov, nel ruolo diabolico, ha rivelato un vero talento teatrale, facendo vivere il personaggio con spassoso realismo e conferendogli i tratti di un diavolo da sagra paesana; ed il contrasto fra questa figurina e la possessione di Renata mette in luce quanto diverse possano essere le modalità della presenza del male nella società, o, in alternativa, della sua descrizione nella letteratura. Il V atto, davvero suggestivo e coinvolgente, per quanto l’orgia delle suore indemoniate che si denudano rasentasse il cattivo gusto, vede come protagonista la figura dell’Inquisitore, incarnato dal basso Aleksej Tanovickij, che ha dominato la scena con presenza e voce autorevole. Gli interventi degli altri personaggi possono essere sinteticamente spiegati come presenze di colore che, come nella pittura di genere, tratteggiano quadretti di ambiente umano nella loro poliedrica varietà. E, a partire dalla scena dell’osteria nel I atto con l’indovina (Ol’ga Savova, mezzosoprano dai giusti colori scuri), la padrona della locanda e l’oste, sono stati tutti gustosi.
Chi, come il sottoscritto, è la prima volta che ascolta Valerij Gergiev dirigere un’opera dal vivo, vi ha riconosciuto il maestro di Noseda, nella particolare cura posta al dettaglio orchestrale, che in una partitura come L’angelo di fuoco è essenziale alla drammaturgia complessiva. Mi piace ricordare, in particolare, il primo quadro del II atto, nel quale un magnifico interludio conduce al climax del colpo di percussione che dà inizio alla scena del dialogo con gli spiriti diabolici, pervasa da serpentini e parossistici glissando dei violini, a sottolineare le misteriose presenze che sovrastano i personaggi. L’allestimento è semplice e sintetico nelle scene e nei costumi di David Roger, ed invece un po’ sovrabbondante nei movimenti registici di David Freeman. L’intero svolgimento dell’azione è accompagnato da alcuni mimi che raffigurano le presenze diaboliche più o meno vicine ai protagonisti, quando non addirittura insinuate in essi, nei vari momenti del dramma. Certamente la loro presenza (vista la prima volta affascinante, la seconda volta a tratti un po’ banale ma a tratti ancor più significativa) condiziona la lettura dell’azione ad un’interpretazione determinata, ma si tratta di un’interpretazione forte e condivisibile nella sua volontà di dare una chiave di lettura al lavoro di Prokofiev.
Foto Ramella & Giannes – Fondazione Teatro Regio di Torino