Parigi, Opéra Bastille, Stagione Lirica 2011/2012
“MANON”
Opéra comique in cinque atti e sei quadri, su libretto di Henri Meilhac e Philippe Gille, dal romanzo dell’Abbé Prévost
Musica di Jules Massenet
Manon NATALIE DESSAY
Le Chevalier Des Grieux GIUSEPPE FILIANOTI
Lescaut FRANCK FERRARI
Le Conte Des Grieux PAUL GAY
Guillot de Morfontaine LUCA LOMBARDO
De Brétigny ANDRE’ HEYBOER
Poussett OLIVIA DORAY
Javotte CAROL GARCIA
Rosette ALISA KOLOSOVA
L’Hotelier CHRISTIAN TREGUIER
Deux Gardes ALEXANDRE DUHAMEL, UGO RABEC
Orchestra e Coro dell’Opéra National de Paris
Direttore Evelino Pidò
Maestro del Coro Patrick Marie Aubert
Regia Coline Serreau
Scene Jean-Marc Stehlé, Antoine Fontaine
Costumi Elsa Pavanel
Luci Hervé Gary
Nuova produzione
Parigi, 25 gennaio 2012
La Manon diretta da Coline Serreau all’Opéra Bastille porta innegabilmente con sè la carica di un’esperienza registica teatrale e cinematografica. Un valore aggiunto alla rappresentazione operistica: la sua regia ha permesso ai cantanti di recitare in maniera convincente, con concentrazione e senza enfasi. In più, ogni quadro è stato visivamente gradevole. Ma i punti deboli rappresentati dal cast, dalle superflue provocazioni della Serreau e dalla direzione d’orchestra sottotono di Evelino Pidò sono stati i fattori che hanno sabotato questa produzione.
Il primo atto sembrava ambientato in un angolo della Gare du Nord. Troviamo un lodevole Luca Lombardo (Guillot de Morfontaine) in tenuta settecentesca con le brave Olivia Doray (Poussette), Carol García (Javotte) e Alisa Kolosova (Rosette). Arriva Franck Ferrari (Lescaut), un baritono dalla voce risonante e di bel timbro, ma assurdamente agghindato con abiti punk. Manon in un semplice abito bianco, arriva, non su una carrozza, ma in quello che sembra un pullman granturismo. Natalie Dessay nel ruolo della protagonista è sembrata stranamente assente. Spesso non udibile nel registro medio-basso, la sua linea di canto non era ben cesellata e i suoi acuti erano fuori controllo, al punto che la voce le si è più volte incrinata. Facciamo anche la prima conoscenza di André Heyboer (De Brétigny) che ha cantato con calcolata freddezza rinforzando la sinistra natura del suo ruolo e di Giuseppe Filianoti (Des Grieux) che mostra subito la spiacevole tendenza a spingere la sua vocalità solo verso il registro acuto, con una linea di canto piuttosto piatta. Alla fine dell’atto Manon e Des Grieux fuggono a cavallo di una motocicletta…
Nel secondo atto, mentre Des Grieux canta delle gioie della vita quotidiana con Manon, la Serreau, incapace di seguire la partitura, parte per la tangente e fa calare l’immagine di una cucina da sogno americano degli anni ’50. A contrasto di questa visione, di lì a poco Brétigny promette a Manon di trasformarla in una regina della società parigina: una corona e una fascia recante la scritta “Miss Arras” da reginetta di bellezza scendono dall’alto, come un dono divino. Con questi interventi che volevano scuramente essere ironici, Coline Serreau è uscita dal seminato per avviarsi su un sentiero nel quale anche il cast non è parso all’altezza della situazione.
Il primo quadro del terzo atto è stato più vivo sia sul piano teatrale che su quello musicale. Gli scenografi Jean-Marc Stehlé e Antoine Fontaine hanno creato un ambiente visivamente di grande impatto: una enorme serra nella quale troneggiano delle grandi piante tropicali. Le comparse si atteggiano a mannequien di una sfilata di moda, tutti in abiti con motivi geometrici neri, bianchi e grigi. Manon, vestita con gli stessi colori, sembrava freddamente elegante mentre le sue braccia e gambe venivano messe in pose da servizio di moda da figure maschili in tenuta sadomaso. Natalie Dessay è sembrata più a suo agio in Je marche sur tous les chemins e Profitons bien de la jeunesse, eccezion fatta per una chiusura in acuto alquanto fortunosa. Il dialogo tra Manon e il padre del Cavaliere è stata soddisfacente dal punto di vista musicale. La direzione musicale di Pidò è stata più concentrata e attenta. Il basso-baritono Paul Gay (Le Conte Des Grieux) ha mostrato una voce solida, timbricamente ricca e ben proiettata. Per il quadro di Saint-Sulpice, le piante tropicali si trasformano nelle colonne interne della chiesa. Filianoti ha cantato la sua aria Fuyez douce image con voce potente, pathos e un’apprezzabile padronanza del francese. Tuttavia, il successivo duetto con Manon è stato alquanto dimesso. Nessuno dei due cantanti è stato credibile. La bella musica di Massenet non è riuscita a espandersi rimanendo come costretta nello spazio angusto di una scatola da scarpe. Il direttore d’orchestra Evelinò Pido ha limitato i danni collaterali preservando il suono compatto dell’orchestra. Ma facendo ciò, lui stesso è sembrato non avere alcuna inclinazione per il rubato di Massenet.
Il quarto atto, quello dell’ Hotel Transylvania, ci è parso preso in prestito da una qualche strampalata commedia musicale. Natalie Dessay somigliava a Annie Lennox. Le mancava solo il microfono: e forse le sarebbe anche andato bene, visto che in A nous les amours et les roses, non si è sentito praticamente nulla. Il registro centrale era pressochè inesistente. Una scena talmente intasata di punk, pirati, cambiali e carte varie ridotte a pezzettini rende difficile concentrarsi sull’azione e la musica. Dopo l’arresto di Manon e Des Grieux, l’atto finale si apre con un miracoloso effetto visivo: tutte le cartacce sparpagliate sul pavimento del Transylvania Hotel si sono trasformate in un’immagine di una terra desolata e ghiacciata che si perde verso l’orizzonte.
Coline Serreau ha sicuramente lavorato con grande istinto teatrale, esibendo immagini cariche di energia, di sensualità e di una sorta di misticismo, ma non ha aggiunto nulla all’originale Manon Lescaut del’Abbé Prévost, ma nemmeno a quella di Jules Massenet.