Firenze, Teatro Comunale, Stagione sinfonica 2012
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Diego Matheuz
Pianoforte Daniil Trifonov
Maestro del coro Piero Monti
Alexandr Borodin: Danze polovesiane, da “Il principe Igor”, per coro e orchestra
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Concerto n. 1 in Si bemolle minore op. 23 per pianoforte e orchestra
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 8 in Fa maggiore op. 93
Firenze, 29 gennaio 2012
Diego Matheuz sul podio, Daniil Trifonov al pianoforte. La sola lettura del cartellone del primo concerto della stagione sinfonica 2012 del Maggio Musicale Fiorentino permette di dedurre quale sia la politica che la fondazione sta coltivando per le sue attività artistiche: quella di portare a Firenze quei giovani talenti che per loro merito hanno saputo già guadagnarsi una garbata notorietà nonostante la loro giovine età. Ciò vale per questo concerto e così sarà per molti dei prossimi appuntamente della stagione che vedranno nomi come quelli di Leonidas Kavakos, Omer Meier Wellber, Ryan McAdams, Pietrari Inkinen, Juraj Valčuha e Tomas Netopil che per il Maggio, si sottolinei, sono tutti ritorni.
Il nome del ventunenne pianista Daniil Trifonov si sta facendo sempre più strada tra le più più sorprendenti scoperte musicali degli ultimi anni. Già vincitore di ambitissimi concorsi internazionali, ha lavorato e lavorerà nelle più importanti istituzioni musicali internazionali. Già più conosciuto al pubblico italiano, invece, il nome del ventottenne Diego Matheuz, l’attuale direttore principale del Gran Teatro La Fenice di Venezia.
Il Concerto per pianoforte e orchestra op. 23 di Čajkovskij trova espressione del suo impeto romantico grazie ad un’interpretazione intensa e asciutta. L’orchestra risponde puntuale a una bacchetta garantendole un carattere che definirei “abbadiano” soprattutto in quei momenti strumentali di maggior respiro in cui la lezione del maestro è viva, ma gioiosamente reinterpretata dall’allievo che porta una ventata di freschezza di rigenerazione. Ne risulta un sinfonismo privo di torpore, ma espressivo e levigato se non teso in un commovente andamento che caratterizza soprattutto il pizzicato dell’Andantino semplice. Parimenti felice è il concertare che il pianoforte solista esegue in contrapposizione all’orchestra. Controllato in ogni momento, Daniil Trifonov esalta la parte solistica con accenti decisamente marcati, imperanti, ma con la capacità di accostarsi ai pianissimi armonicamente anche grazie ad un’espressività che trova ben pochi pari nei concerti passati sentiti al Comunale. Per la gioia del pubblico che con calore applaude l’enfant prodigue il capolavoro del maestro russo è seguito da ben tre bis: il Grande valzer brillante di Chopin, la Campanella di Liszt dal Concerto per violino di Paganini e una Gavotta di Rachmaninov. Fanno da cornice al concerto pagine di Borodin e Beethoven.
Se Čajkovskij è il più occidentale dei maestri russi, Borodin (insieme agli altri componenti del “Gruppo dei cinque” del quale egli fa parte) è invece proiettato verso un’osservazione minuziosa se non amorevole della cultura nazionale russa. I temi delle affascinanti Danze polovesiane tratte da “Il principe Igor” evidenziano, a sostegno di questa tesi, il carattere forte e nobile del sentimento russo i cui temi popolari che non di poco reggono lo spartito di questo lavoro sinfonico si fanno sentire in tutto il loro fascino. L’orchestra e soprattutto il coro del Maggio (diretto da Piero Monti) conferiscono allo spartito un carattere profondamente nostalgico trovante albergo in un clima di fondo caratterizzato da uno spiccato senso della festosità.
L’Ottava sinfonia di Beethoven, che chiude il nutrito programma, è una delle sinfonie del maestro di Bonn a torto ritenute tra le meno riuscite. Se con essa il compositore si concede una pausa dagli impeti delle tempestività romantiche che caratterizzano le sue altre sinfonie per tornare a quegli schemi e a quelle proporzioni sulle quali si basa la sinfonia classica viennese (notevole il recupero del Minuetto abbandonato a partire dall’“Eroica”), la rilettura offerta dal presente concerto permette di fruire di questo lavoro come l’espressione di quella felicità domestica che si basa sulla gioia per le piccole cose e sulla burla. Caratteri che Matheuz esprime in maniera decisa, lineare e carica di quella giusta dose di nerbo necessaria da rendere la veracità di quella che sicuramente è la più umana di tutte le sinfonie beethoveniane e proprio su questa umanità colorita e intima corre il filo rosso che ha caratterizzato questo concerto apertosi con la celebrazione delle immense Steppe con Borodin e chiusosi con la contemplazione del focolare domestico con Beethoven passando per l’occidentalismo čajkovskijano. Pubblico calorso, ma tristemente scarso.
Foto Marco Mori – Maggio Musicale Fiorentino