Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2011 /2012
“FIDELIO”
Opera in due atti su libretto di Joseph Ferdinand Sonneleithner e Georg Friedrich Treitschke
Musica di Ludwig van Beethoven
Leonore RICARDA MERBETH
Florestan IAN STOREY
Don Pizarro LUCIO GALLO
Rocco FRANZ HAWLATA
Marzelline TALIA OR
Jaquino ALEXANDER KAIMBACHER
Don Fernando ROBERT HOLZER
Primo prigioniero MATTHEW PENA
Secondo prigioniero ENRICO BAVA
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Mario Martone
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Luci Nicolas Bovey
Nuovo allestimento in coproduzione con Opéra Royal de Wallonie (Liegi)
Torino, 15 dicembre 2011
È un’esecuzione tesa e drammatica quella che il Direttore stabile Gianandrea Noseda ha proposto del Fidelio di Beethoven che ha aperto il cartellone operistico della stagione 2011/2012 del Regio di Torino. Un’esecuzione intrisa da una tensione che è emersa fin dall’ouverture, tutta percorsa di contrasti dinamici e caratterizzata da una certa concitazione. La stringenza drammatica è stata favorita dalla scelta di eseguire la versione ultima di Beethoven (1814), la più breve lasciata dall’autore, senza compromessi con le versioni precedenti, al costo di escludere dalla serata la celebre ouverture Leonore n. 3. D’altro canto, bisogna ammettere che la concisione è stata ottenuta anche, e questo sì che è un compromesso, tagliando brutalmente le parti recitate e rischiando così di misconoscere la natura stessa del Siengspiel, il genere di teatro musicale, fondato sull’alternanza di canto e prosa, cui Fidelio appartiene; natura che è invece ben emersa in quei numeri d’assieme in cui Beethoven lascia trasparire movenze buffe che tradiscono l’origine “leggera” di questa forma di teatro musicale.
Al centro dell’opera si colloca la figura di Leonore, donna dal carattere forte che, travestita da uomo e sotto il nome di Fidelio, si introduce in un carcere per salvare la vita al marito prigioniero. Se l’elemento eroico è stato ben reso grazie al temperamento drammatico del soprano Ricarda Merbeth, un po’ penalizzata è risultata la forza dell’amore coniugale che pure è, al pari dell’eroismo, fondamento della vicenda. Il soprano, infatti, è stata capace di afflati effettivi ma lievemente debole nel tratteggiare le sfumature del sentimento che sono state particolarmente penalizzate nel duetto del secondo atto con Florestan, che dovrebbe essere un vero abbandono alla ritrovata gioia dell’affetto coniugale. Il tenore Ian Storey, interprete di Florestan, è infatti dotato di una voce incisiva e corposa, ma tende con una certa facilità al grido espressionistico, coerente con la condizione disumana nella quale l’uomo tenuto prigioniero, ma poco consono alla complessità interiore del personaggio. Chi ha saputo pienamente centrare la personalità della figura incarnata è stato Franz Hawlata, bel basso cantabile, schietto e pacato nel ruolo grigio del carceriere Rocco e nelle sue asserzioni banali. Più da cliché, forse, ma non per questo meno riuscita, è stata l’interpretazione che il baritono Lucio Gallo ha proposto del tiranno Pizzarro, tratteggiato con viva brutalità e con perfide inflessioni della voce. Hanno ben completato la compagnia il soprano Talia Or (Marzelline) e il tenore Alexander Kaimbacher (Jaquino), anche se le loro voci, tagliate per il repertorio settecentesco, erano un po’ sacrificate dall’orchestrazione beethoveniana; e soprattutto il coro del Teatro Regio che ha proposto, nei finali dell’opera nei quali la cupezza della tragedia è interrotta da qualche raggio di luce, una prestazione superba che conferma la grande qualità di questa compagine.
La regia di Mario Martone, nella sua semplicità, ha steso su tutta la vicenda una coltre plumbea che ben raffigurava l’irrespirabilità di un mondo carcerario in cui i più elementari diritti degli esseri umani sono conculcati, e la stessa atemporalità ne metteva in luce il valore eterno di denuncia dell’oppressione.