Ah! La maledizione”. Il “Rigoletto” e “Le Roi s’amuse”: due destini incrociati

Prima parte. La genesi dell’opera
Il miglior soggetto in quanto ad effetto che io m’abbia finora posto in musica […]. Vi sono posizioni potentissime, varietà, brio, patetico: tutte le peripezie nascono dal personaggio leggero, libertino del Duca, da questo i timori di Rigoletto, la passione di Gilda ecc. ecc., che formano molti punti drammatici eccellenti, e fra gli altri la scena del quartetto, che in quanto ad effetto sarà sempre una delle migliori che vanti il nostro teatro[1].
In questa lettera, indirizzata il 22 marzo 1853 ad Antonio Somma, autore del libretto di Un ballo in maschera, Giuseppe Verdi analizzò retrospettivamente il Rigoletto, la prima opera della cosiddetta trilogia popolare che ebbe, sin dal suo primo apparire, una grande fortuna presso il pubblico.
Il musicista di Busseto, con grande acume autocritico, oltre a rivendicare con un certo orgoglio la paternità di una delle più belle scene del nostro teatro, quel quartetto dell’atto terzo, dove l’intreccio polifonico fa risaltare non solo le parole, ma anche i sentimenti dei quattro personaggi che si trovano sulla scena, pose l’accento sulla felice scelta del soggetto, tratto da Le Roi s’amuse di Hugo, con la cui produzione teatrale, per altro, Verdi era venuto a contatto in occasione della composizione dell’Ernani.
Le roi s’amuse era un soggetto che, se, da un lato, era pieno di potenzialità drammatiche tali da garantire un sicuro successo dell’opera, dall’altro, per certi aspetti, non era facile da far digerire ad una censura la quale non gradiva che un re come Francesco I, il protagonista del dramma di Hugo, fosse presentato come un libertino senza scrupoli e, quindi, messo alla berlina. La censura era già intervenuta in Francia, sospendendo le repliche del dramma con un provvedimento che lo stesso Hugo, nella prefazione all’edizione a stampa dell’opera, dove è raccontato lo svolgimento dei fatti, non mancò di definire incredibile ed arbitrario oltre che inaudito:
L’apparition de ce drame au théâtre a donné lieu à un acte ministériel inouï. Le lendemain de la première représentation, l’auteur reçut de M. Jouslin de Lassalle, directeur de la scène au Théâtre-Français, le billet suivant, dont il conserve précieusement l’original: «Il est dix heures et demie, et je reçois à l’instant l’ordre de suspendre les représentations du Roi s’amuse. C’est M. Taylor qui me communique cet ordre de la part du ministre. Ce 23 novembre.” Le premier mouvement de l’auteur fut de douter. L’acte était arbitraire au point d’être incrodable[2].
Le condizioni in cui il Rigoletto nacque non furono certo tra le più felici, se consideriamo non solo il precedente francese, ma anche gli intoppi burocratici causati dalla censura che Verdi dovette superare, aggiustando l’opera senza che ne fosse intaccata la riuscita drammatica; il Rigoletto, alla fine, può essere considerato come il frutto dell’ostinazione del Maestro che aveva riposto un’immensa fiducia in questo soggetto.
Il primo accenno ufficiale, fatto dal compositore di Busseto, a Le roi s’amuse di Hugo risale ad una lettera del 1849, indirizzata a Vincenzo Flauto, impresario del teatro San Carlo di Napoli, con il quale stava trattando per la composizione di una nuova opera; in questa lettera, infatti, Verdi scrisse di aver sottoposto il soggetto del drammaturgo francese al librettista Salvatore Cammarano, che era il direttore di scena e il poeta stabile del teatro napoletano, dal quale, tuttavia, aveva avuto una risposta negativa, motivata dalla preoccupazione per le obiezioni che la censura avrebbe mosso. Nel frattempo il Nostro, poco contento anche del trattamento che gli era stato riservato dal teatro napoletano per il contratto della Luisa Miller, decise di rompere ogni trattativa con il San Carlo, per avviarne un’altra con La Fenice di Venezia, conclusa felicemente il 28 aprile 1850 con la firma del contratto, nel quale Verdi s’impegnava a scrivere un’opera che doveva essere rappresentata nel teatro veneziano intorno al 20 febbraio del 1851 e della quale ancora non era stato stabilito il soggetto. Naturalmente Verdi si attivò subito perché il soggetto fosse quello del dramma di Hugo e, in una lettera indirizzata, nello stesso giorno della stipula del contratto, a Piave, che ricopriva a La Fenice di Venezia lo stesso incarico rivestito da Cammarano a Napoli, scrisse:
Difficilmente troveremo cosa migliore di Gusmano il Buono, nonostante avrei un altro sogetto che se la polizia volesse permettere sarebbe una delle piú grandi creazioni del teatro moderno. Chi sa! hanno permesso l’Ernani potrebbe permettere anche questo, e qui non ci sarebbero congiure. Tentate! Il sogetto è grande, immenso, ed avvi un carattere che è una delle piú grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche. Il sogetto è Le Roi s’amuse, ed il carattere di cui ti parlo sarebbe Tribolet che se Varese è scritturato nulla di meglio per Lui e per noi.
P.s. Appena ricevuta questa lettera mettiti quattro gambe: corri per tutta la città, e cerca una persona influente che possa ottenere il permesso di fare Le Roi s’amuse. Non addormentarti: scuotiti: fà presto. Ti aspetto a Busseto ma non adesso, dopo che avranno scelto il sogetto.
In questa lettera Verdi fece intendere che la scelta di qualunque altro soggetto che non fosse Le roi s’amuse, sarebbe stata una soluzione di ripiego, in quanto il musicista di Busseto aveva già perfettamente delineato nella sua mente lo sviluppo drammatico dell’opera ed i ruoli dei personaggi tra i quali emergeva, con una forza drammatica fuori dal comune, quello del buffone Tribolet, verso il quale andavano le simpatie di Verdi, come dimostra il carteggio Verdi-Piave di questo periodo; in un’altra lettera dell’8 maggio 1850 Verdi scrisse, infatti, al librettista veneto:
Oh “Le Roi s’amuse” è il piú gran sogetto e forse il piú gran dramma dei tempi moderni. Tribolet è creazione degna di Shakespeare!! Altro che Ernani!! è sogetto che non può mancare. Tu sai che 6 anni fa quando Mocenigo mi suggerí Emani, io esclamai: “si, per Dio… ciò non sbaglia”. Ora riandando diversi sogetti quando mi passò per la mente Le Roi fu come un lampo, un’ispirazione e dissi l’istessa cosa…“si, per Dio ciò non sbaglia”.
( Fine della prima parte )
Il saggio è tratto da Riccardo Viagrande, Musica e poesia arti sorelle, Casa Musicale Eco, Monza, 2005, pp. 29-38.


[1] Questa lettera indirizzata a Somma è raccolta in A. Pascolato, Re Lear e Un ballo in maschera, Città di Castello, 1913, pp. 45-48.
[2] V. Hugo, Le roi s’amuse, Paris, J. Hetzel, 1890, Pref.. Tutte le citazioni del dramma di Hugo sono tratte da questa edizione.