Padova, Teatro Verdi, Stagione Lirica 2011
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in due parti e tre atti su libretto di Salvadore Cammarano, dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott.
Musica di Gaetano Donizetti
Miss Lucia BURCU UYAR
Sir Edgardo di Ravenswood ISMAEL JORDI
Lord Enrico Ashton VITALIY BILYY
Raimondo Bidebant RICCARDO ZANELLATO
Lord Arturo Bucklaw THOMAS VACCHI
Alisa SILVANA BENETTI
Normanno ORFEO ZANETTI
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Coro Lirico Li.Ve.
Direttore Francesco Rosa
Maestro del Coro Dino Zambello
Regia, Scene, costumi e luci Stefano Poda
Nuovo allestimento Li.Ve. 2011, con i Comuni di Padova, Bassano del Grappa e Rovigo.
Padova, 21 ottobre 2011
Torna la lirica a Padova e, dopo il successo ottenuto lo scorso anno con il Rigoletto, torna nuovamente sul palcoscenico del “Verdi”Stefano Poda a proporre la sua visione della Lucia di Lammermoor. Chi conosce questo regista-artista, sa, più o meno quello che si troverà davanti. E’ ormai un dato di fatto affermare che Poda è fortemente autoreferenziale. La sua estetica, basata su una visione antidrammatica nel vero senso della parola, espressa da una pressochè totale assenza di un gioco scenico, a privilegio di movimenti minimali fortemente interiorizzati e di allestimenti sempre fortemente cupi, anche in questa produzione trova piena conferma.
Ritroviamo così uno spazio scenico che non ha, se non per qualche elemento dei costumi che si rifà all’800′, una collocazione temporale, fatto di pareti grigie che salgono o scendono, di due piani d’azione, su uno dei quali è presente l’acqua, altro elemento immancabile negli spettacoli di Poda, il tutto immerso in una atmosfera perennemente fumosa, rischiarata principalmente da luci di taglio. Il taglio dei costumi, soprattutto quelli femminili, è sempre basato su grandi strascici che vanno a enfatizzare l’incedere ieratico degli interpreti che, in sostanza, si esprimono nel linguaggio di Poda. Si rimane con il dubbio su quanto questi interpreti, siano felici di cantare pressochè sempre in zone disagiate del palcoscenico, più o meno sempre affumicati o inginocchiati nell’acqua e anche a cospergersi di “sangue”. Se almeno in questo caso siamo stati risparmiati dalla presenza del “solito” gruppo di mimi-danzatori che sono un altro dei must di Poda, ci ritroviamo sempre in questo antidramma costruito a tableaux che, dopo i primi 15′ dell’effetto “sorpresa”, si trascina stancamente, fino a risultare insopportabilmente snervante nel suo continuo esprimersi attraverso modalità fine a se stesse. La musica e la teatralità romantica di Donizetti abitano altrove. Immaginiamo che questi aspetti interessino relativamente al regista.
Purtroppo anche sul piano musicale non c’è stato molto da stare allegri. La partitura, piuttosto maldestramente “epurata” in pressochè tutti i “da capo” e nelle “strette” (finale atto secondo), è stata affidata a Francesco Rosa, che si limitato a tenere le fila di un’orchestra poco più che corretta, senza un reale taglio interpretativo. Ha accompagnato il canto in modo piuttosto alterno. Solo a tratti si è percepito qualche attimo di vibrazione teatrale, ma per ripiombare subito dopo in una concertazione inerte. In un contesto di questo tipo, giudicare le prestazioni dei cantanti è un’impresa ardua. Non possiamo affrontare un discorso sulle loro personalità interpretative perchè in questa visione pressochè solo estetica dell’opera non sono di certo emerse: possiamo solo limititarci ad affrontare delle considereazioni sulle loro caratteristiche vocali. Il giovane soprano turco Burcu Uyar ha sfoggiato una linea di canto corretta. Il registro acuto è buono e ben proiettato, non così nelle zone medio-basse, alquanto fragili, e anche il fraseggio è parso piuttosto generico. Ismael Jordi, realisticamente, non avrebbe il colore e il peso affrontare Edgardo. Di Donizetti lui potrebbe affrontare solamente Elisir d’amore e Don Pasquale. Il tenore spagnolo canta comunque con gusto e intelligenza e, senza forzare la sua natura vocale, riesce, nella scena finale ad avere una bella linea di canto e a sfoggiare dei colori e degli accenti comunque pertinenti.
Al contrario, il baritono ucraino Vitaliy Bilyy, che sarebbe dotato di uno strumento vocale importante, con acuti squillanti e sicuri, ha un registro centrale piuttosto ingolato, e con una emissione alquanto artefatta. Stilisticamente parlando poi, Donizetti e il “belcanto” in genere, non è “pane per i suoi denti”, visto che, affronta in modo alquanto impacciato quei pochi momenti di “coloratura” che la parte richiede. Ottimo, e potremmo definire il migliore in campo, sul piano di stile e linea di canto il basso Riccardo Zanellato. Un Raimondo “di lusso”. Valido l’apporto vocale anche dell’Arturo del tenore Thomas Vacchi, che va anche lodato per essersi prestato a starsene nudo, imbrattato di “sangue”, seduto nell’acqua per quasi tutta la scena della pazzia e successivo finale dell’opera. Orfeo Zanetti è stato un Normanno dalla linea di canto piuttosto discutibile (non si capiva bene dove volesse posizionare il suono!). Buona l’Alisa di Silvana Benetti. Ammirevole il Coro diretto da Dino Zambello, per essere riusciti a cantare in posizioni spesso non ottimali: o sul fondo della scena o addirittura appollaiati sulla cima della parete di fondo. Successo caloroso, anche se non sono mancate delle contestazione nei confronti del regista. Foto Michele Giotto – Teatro Verdi di Padova