Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’Opera e Balletto 2010/2011
“IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA”
Tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti su libretto di Giacomo Badoaro
Musica di Claudio Monteverdi
L’humana fragilità / Primo Feacio ANDREA ARRIVABENE
Il Tempo / Nettuno LUIGI DE DONATO
La Fortuna / Melanto MONICA BACELLI
Amore / Minerva ANNA MARIA PANZARELLA
Penelope SARA MINGARDO
Ericlea MARIANNA PIZZOLATO
Eurimaco / Secondo Feacio MIRKO GUADAGNINI
Giove / Anfinomo EMANUELE D’AGUANNO
Terzo Feacio / Antinoo SALVO VITALE
Ulisse FURIO ZANASI
Eumete LUCA DORDOLO
Iro GIANPAOLO FAGOTTO
Telemaco LEONARDO CORTELLAZZI
Pisandro KRYSTIAN ADAM
Giunone RAFFAELLA MILANESI
Concerto Italiano
Coro del Teatro alla Scala
Direttore Rinaldo Alessandrini
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia, scene e luci Robert Wilson
Costumi Jacques Reynaud
Luci AJ Weissbard
In coproduzione con Opéra National de Paris
Milano, 30 settembre 2011
Osservando la copertina dell’edizione in CD di Einstein on the beach (l’opera di Robert Wilson musicata da Philip Glass) diretta nel 1993 da Michael Riesman, ci si trova in buona misura davanti alla visione estetica che caratterizza le regie di Robert Wilson: una luce al neon su uno sfondo nero. Estetica confermata e ribadita anche in occasione del recente allestimento de Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi al Teatro alla Scala di Milano. Ad eccezione del Prologo, durante il quale viene inscenata una rappresentazione allegorica, l’intera concezione visiva dello spettacolo viene giocata su questi due binari: luci bianche che contrastano con la scena scarna e monocroma. Se da un lato è possibile apprezzare l’eleganza dell’ambientazione stilizzata, dall’altro non possiamo che esprimere perplessità in merito al ritmo narrativo che viene notevolmente rallentato e appiattito. Non contribuisce certo ad una maggiore mobilità la recitazione imposta alla compagine canora: ieratica, dai movimenti lenti e solenni e che tende a privilegiare la postura sempre in primo piano delle mani. L’impressione costante è quella di una sorta di “danza cortese” che vorrebbe conferire un’inspiegabile aulicità all’azione, quando in realtà vengono mescolati con indifferenza episodi umani e divini laddove l’Ulisse esigerebbe moduli espressivi assai diversificati fra loro (basti confrontare le parti cantate destinate alle divinità con gli interventi previsti per Melanto, ancella di Penelope). Per tornare alle luci a firma AJ Weissbard: si prediligono tagli asciutti e d’un candore abbagliante, concentrate in prevalenza sul volto dei cantanti; viene così messa in secondo piano la sontuosità, la ricercatezza e il gusto per il dettaglio dei costumi ideati da Jacques Reynaud (quasi “busti corazzati” per le divinità, Penelope i Proci a sottolinearne lo status privilegiato). In definitiva, una regia statica che privilegia il “lasciar intendere” al narrare.
Eccellente la parte musicale qui affidata a Rinaldo Alessandrini a capo degli ottimi continuisti del Concerto Italiano: pur nel rispetto della prassi esecutiva Monteverdiana, le sonorità e i tempi sono risultati sempre pertinenti e dinamici, consoni allo sviluppo drammaturgico (sopperendo in questo caso alla laconicità della regia) e ben calibrati alle voci dei cantanti. Per quanto riguarda il cast vocale, domina la presenza imponente della Penelope di Sara Mingardo, qui nel suo repertorio d’elezione: nonostante l’emissione un po’ ovattata, il celebre contralto si fa valere in forza del timbro brunito, l’espressività calibrata conferita ad ogni parola, contribuendo così a creare l’immagine di una sovrana giustamente prostrata ma al contempo ancorata all’inevitabilità del suo status di sposa e regina. Ad onta di una voce piuttosto piccola e timbricamente meno accattivante, Furio Zanasi tratteggia un Ulisse intriso di vera umanità e molto variegato nel fraseggio. Monica Bacelli come Melanto e nella parte allegorica de La Fortuna, si disimpegna discretamente, nonostante l’anonimia del timbro e l’insistere su un fraseggio leggermente “nervoso”: più apprezzabile invece per musicalità l’Eurimaco di Mirko Guadagnini, impiegato anche nel ruolo del Primo Feacio. Non convince la prova di Anna Maria Panzarella nei panni della dea Minerva (e Amore nel Prologo) a causa del timbro anodino e l’emissione fastidiosamente tremula. Riteniamo siano invece state validissime le prove di Marianna Pizzolato (Ericlea) e Leonardo Cortellazzi (Telemaco) per ragioni pressoché sovrapponibili: morbidezza e fluidità d’emissione, proiezione vocale, coerenza stilistica e musicalità. Del terzetto dei Proci si è distinto l’Anfinomo di Emanuele D’Aguanno, interprete anche di Giove. Molto apprezzabile l’umanissimo Eumete di Luca Dordolo, grottescamente eccessivo l’Iro di Gianpaolo Fagotto, poco rilevanti gli interventi di Raffaella Milanesi come Giunone e di Luigi De Donato (Il Tempo e Nettuno). L’ultima rappresentazione dell’opera Monteverdiana ha visto una sala pressoché gremita. Successo incondizionato per tutti: particolarmente apprezzata Sara Mingardo.
Foto Lucie Jansch – Fondazione Teatro alla Scala di Milano