Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2011
“LE NOZZE DI FIGARO”
Commedia per musica in quattro atti KV 492
libretto di Lorenzo Da Ponte
dalla commedia “La folle journée ou Le mariage de Figaro” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
musica di Wolfgang Amadeus MozartConte di Almaviva SIMONE ALBERGHINI
La Contessa di Almaviva SABINA VON WALTHER
Susanna CATERINA DI TONNO
Figaro VITO PRIANTE
Cherubino JOSE’ MARIA LO MONACO
Marcellina ELISABETTA MARTORANA
Basilio BRUNO LAZZARETTI
Don Curzio EMANUELE GIANNINI
Bartolo UMBERTO CHIUMMO
Antonio MATTEO FERRARA
Barbarina ARIANNA DONADELLI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Antonello Manacorda
Maestro del Coro Marino Moretti
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
Luci Fabio Barettin
Nuovo allestimento del Teatro La Fenice
Venezia, 15 ottobre 2011
L’opera viene proposta in un nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice, affidato allo stesso team che ha realizzato quello del Don Giovanni (vincitore di un Premio Abbiati e di quattro Opera Awards) e che realizzerà quello per il terzo titolo legato al binomio Mozart-Da Ponte, Così fan tutte. Anche gli interpreti musicali sono in gran parte gli stessi.
L’azione scenica de Le nozze di figaro si svolge tutta all’interno di un palazzo, trasposta in un primo Novecento suggerito dall’arredamento essenziale, dalla semplicità dei decori nelle stanze – in cui prevalgono il bianco delle porte e degli infissi, e il blu della tappezzeria alle pareti illuminate da appliques – oltre che ovviamente dai costumi, tra cui, molto divertenti, quello alla montanara di Cherubino – che fa il suo ingresso portando in mano una palla, anacronistico simbolo di una fanciullezza ormai esausta, in pantaloni alla zuava, camicia e copricapo con pompon – nonché la mise di Antonio, il quale anziché nei panni del giardiniere si presenta, nel finale dell’atto secondo, dentro un’azzimata divisa da chauffeur. Anche per questo allestimento come per il Don Giovanni, seppur con maggiore moderazione, si fa uso nel cambio delle scene del palcoscenico girevole, il che asseconda il ritmo serrato con cui procede l’intricata trama.
Adeguata al perfetto meccanismo teatrale ideato da Mozart e Da Ponte anche la direzione di Manacorda, che si caratterizza, fin dalla sinfonia preannunciante il clima concitato della folle journée, per il dinamismo e la leggerezza con cui sa condurre le animatissime scene d’insieme, ma anche per l’intenso lirismo con cui accompagna le arie che interrompono la concitazione che dilaga in casa Almaviva; il tutto senza mai perdere di vista il nitore del suono.
Quanto alla regia di Michieletto, la sua impostazione risulta davvero interessante perché intreccia due diverse dimensioni: una ‘oggettiva’, l’altra ‘psicologica‘. Sul palcoscenico, infatti, non vediamo solo l’azione così come si svolgerebbe nella realtà, poiché accanto ai personaggi ‘reali’ presenti in una determinata situazione compaiono abbastanza spesso altri personaggi della commedia, evocati più o meno inconsciamente dall’emotività esasperata di quelli in quel momento attivi sulla scena. Come se l’oggetto dell’ira, della gelosia o della passione amorosa prendesse corpo in una dimensione extrasensoriale. Qualcosa di simile avviene durante l’esecuzione della stessa sinfonia, quando sul palcoscenico la Contessa, alla presenza del Conte, si intenerisce tenendo in mano un velo da sposa come a rimpiangere ‘i bei momenti’ in cui il suo ormai distratto consorte le dimostrava ancora il suo amore. Venendo all’azione sul palcoscenico, nella prima scena (duettino tra Figaro e Susanna), mentre quest’ultima rivela al suo futuro sposo certe attenzioni del padrone, irrompe a sorpresa l’intrigante don Basilio, che solletica beffardamente il servo con la carta del contratto di nozze che lo lega a Marcellina, pena il pagamento di una forte somma. Analogamente ad animare l’aria «Se vuol ballare, signor Contino» vi è lo stesso Conte, proiezione della rabbia di Figaro, che lo percuote duramente quasi fosse un inviso orsacchiotto di peluche. Così come Susanna appare nella successiva scena con Marcellina e Bartolo (quella della famosa aria «La vendetta») per fare a pezzi il famigerato contratto di cui sopra.
Ma questa regia si caratterizza anche per qualche tratto simpaticamente prosaico e per la giusta accentuazione della componente erotica. Qualche esempio di prosaicità: l’invelenito duetto tra Marcellina e Susanna «Via, resti servita!», che si conclude con un frastuono di stoviglie gettate a terra dall’isteria della non più giovane pretendente di Figaro; l’animato terzetto in cui Basilio lotta con Cherubino nascosto sotto un tavolo, mentre un coro (invisibile) di contadini inneggia all’abolizione dello ius primae noctis ; la successiva celeberrima aria «Non più andrai, farfallone amoroso» , che risuona mentre Figaro sculaccia vigorosamente il focoso adolescente privo dei pantaloni sotto una pioggia di palle (ancora i simboli della sua purezza perduta).
Qualche esempio anche del clima sensuale di questa regia: ascoltando l’aria «Voi che sapete» la Contessa e Susanna raccolgono qualche pezzo del foglio su cui il paggio ha scritto la sua canzonetta con fare decisamente voluttuoso. L’aura sensuale continua poco dopo con due coppie in teneri atteggiamenti: Cherubino e Susanna da una parte e il Conte e la Contessa dall’altra, quanto a questi ultimi si ripete la situazione già vista durante la sinfonia, in cui Madama bacia nostalgicamente il velo nuziale). La tirata di Figaro «Aprite un po’ quegli occhi», alla presenza di tre servette, analogamente unisce il tono tragico alla sensualità, allorché una di queste si stringe maliziosa a Figaro disteso a terra e lo benda con un nastro, a conferma della fondatezza dell’invettiva misogina che l’uomo ha appena lanciato. La perfidia delle ‘femmine’, peraltro, era già stata mesa in luce nel corso del duetto tra Susanna e il Conte («Crudel, perché sinora!»), nel momento in cui la cameriera lega il suo nobile spasimante con una cinghia impedendogli di muovere le braccia.
Un’altra caratteristica di questa messinscena, come si è già notato, è il fatto che tutto si svolge rigorosamente dentro un palazzo, senza che il mondo esterno possa penetrarvi in alcun modo: così il coro delle contadine che omaggiano la Contessa, «Ricevete o padroncina queste rose e questi fior» , risuona fuori scena, mentre l’omaggio floreale viene portato da un piccolo stuolo di servette, così come l’affascinate successivo fandango si ascolta senza ballo. Infine le scene conclusive dell’atto quarto si svolgono anch’esse all’interno anziché in giardino. Forse il regista ha voluto mettere in risalto il fatto che il microcosmo di casa Almaviva è ancora incredibilmente chiuso ad ogni istanza di cambiamento, a pochi anni dal ‘diluvio’ …
Quanto all’interpretazione musicale, Vito Priante (Figaro) canta con voce ben timbrata e nel contempo capace di buona agilità, oltre a mostrare un’adeguata presenza scenica anche nelle situazioni più movimentate. Caterina Di Tonno (Susanna) è dotata della giusta leggerezza vocale e della grinta necessaria a dar vita al suo non facile ruolo, che, com’è noto, va aldilà di quello tradizionale nell’opera buffa della servetta scaltra. Simone Alberghini (il Conte), altro bel timbro scuro, sa essere di volta in volta terribile – ad esempio quando teme che Cherubino attenti alla fedeltà della Contessa e tenero con Susanna. Anch’egli padrone della scena. Sabina von Walther (la Contessa) si rivela all’altezza per le sue indubbie qualità interpretative che in una tra le arie più affascinanti per essenzialità e pathos del grande Salisburghese (“Porgi, Amor”) trova il giusto tono, triste ma senza enfasi, sottolineato dallo straordinario controcanto dei clarinetti. Positiva anche la prestazione di Josè Maria Lo Monaco (Cherubino), che nelle sue due arie famosissime “Non so più cosa son, cosa faccio” e “Voi che sapete” fornisce un’interpretazione convincente senza affettazione. Ma l’intero cast si è meritato gli applausi del pubblico, che ha salutato calorosamente gli interpreti principali, riservando poi al maestro Antonello Mancorda una speciale, meritatissima, ovazione.
Foto Michele Crosera – Teatro La Fenice Venezia