Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2011
“UN BALLO IN MASCHERA”
Melodramma in tre atti su libretto di Antonio Somma, da Gustave III ou le bal masqué di Eugène Scribe.
Musica di Giuseppe Verdi
Riccardo FRANCESCO MELI
Renato VLADIMIR STOYANOV
Amelia KRISTIN LEWIS
Ulrica ELISABETTA FIORILLO
Oscar SERENA GAMBERONI
Silvano FILIPPO POLINELLI
Samuel ANTONIO BARBAGALLO
Tom ENRICO RINALDO
Un giudice COSIMO VASSALLO
Un servo ENRICO PAOLILLO
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Gianluigi Gelmetti
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia Massimo Gasparon da un’idea di Pierluigi Samaritani
Scene e costumi Pierluigi Samaritani
Luci Andrea Borelli
Coreografie Roberto Maria Pizzuto
Parma, 5 ottobre 2011
Un Festival Verdi faticosissimo quello del 2011: nonostante i tagli alla cultura, la difficile situazione politica che attanaglia la città, i ritardi nella presentazione di programma e cast, Parma ha dato il via ancora una volta al suo Festival. Titolo inaugurale è stato Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi per la regia di Massimo Gasparon che ha ripreso per l’occasione un allestimento del Teatro Regio di Parma creato dal compianto Pierluigi Samaritani: ambientazione confortante nel solco della tradizione, nessuna trasposizione temporale, costumi gradevoli benché non particolarmente fantasiosi. Il grande difetto di questa ripresa è stata una vera e propria mancanza di “teatro”. Un ballo in maschera è un’opera sanguigna, di passioni tradite e ambite, di risoluzioni estreme… già il titolo dell’opera potrebbe essere indiziario in questo senso: cosa nasconde la maschera, quale lo schema in questo “gioco delle parti”? In scena, nulla di tutto questo è trapelato.
Il primo quadro si apre su una grande scalinata con i cortigiani ammassati in ogni dove e solisti al proscenio (costante in pressoché tutti i momenti solistici): veramente ingenua e inutile la presenza di altri paggetti vestiti come Oscar. Stereotipato il quadro ambientato nell’antro di Ulrica con coreografia pseudo-wiccan durante l’aria dell’indovina e misteriose figure (fauni?) in controscena. E pazienza se l’“orrido campo” somiglia ad una scenografia malamente imprestata da un film di Ed Wood ma che la povera Amelia (vestita d’un bianco accecante… nel cuore della notte… per raccogliere un’erba di nascosto da tutto e da tutti!) debba continuare a vagare da un capo all’altro del palcoscenico con movenze alla Francesca Bertini e gli occhi sgranati, è veramente anacronistico. Meglio i quadri successivi, anche se stucchevole resta l’ambientazione di tipo “caravaggesco” nel palazzo di Renato, mentre il ballo vero e proprio all’ultimo quadro è complessivamente gradevole anche se un po’ impersonale. Per sintetizzare: ben vengano in tempi di crisi le riprese di allestimenti passati ma supportate dall’estro necessario a riprendere nuova vita. I cliché annoiano e basta.
Luci e ombre per quanto riguarda il versante musicale. Gianlugi Gelmetti non imprime nessuna forza narrativa alla partitura se non quella del fortissimo: tempi molti serrati, sonorità eccessive e poca cura al dettaglio e ai fraseggi spazzano via qualsivoglia lirismo e suspense sottesi al Ballo verdiano. Sottotono e confusa la prova dell’Orchestra del Teatro Regio di Parma.
Debuttante nel ruolo di Riccardo, Francesco Meli regala ancora una volta al pubblico parmigiano la sua splendida voce: un conte finalmente giovane nel timbro, luminoso e generoso nel canto ma non per questo incline a effetti troppo stucchevoli e marcati. Un vero innamorato (soprattutto nell’accento sempre pertinente), una volta tanto! Molto bene i primi due atti, il tenore genovese è apparso più affaticato all’ultimo dove la zona acuta è risultata meno timbrata. Vladimir Stoyanov punta come al solito su un fraseggio di classe e nobilissimo nel porgere la parola: un Renato che emerge a tuttotondo, dall’iniziale fedeltà all’amico più caro fino al tragico epilogo. La resa vocale è però alterna, a causa degli acuti secchi e duri (molto difficili anche gli attacchi nel terzo atto). Debutto anche per il soprano statunitense Kristin Lewis come Amelia: molte le aspettative in parte disattese. La giovane artista si fa valere soprattutto in forza del timbro ambrato e ammaliante. La voce è sostanzialmente lirica, non amplissima ma dal centro sonoro, una zona grave un po’ artificiosa e acuti metallici. Quanto al resto, difetta di musicalità, la linea di canto è ordinaria, il fraseggio e l’articolazione della parola sono molto approssimativi: questa Amelia non vive, non ama, non è donna, amante e madre. Elisabetta Fiorillo ha fatto del personaggio di Ulrica uno dei propri cavalli di battaglia: sentire l’attacco e la chiusura dell’aria di sortita, forti di un registro grave ancora impressionante per risonanza, confermano una volta di più la forza contraltile di questa voce. La zona centrale e acuta sono invece molto impoverite e compromesse nella tenuta del suono. Il personaggio risulta comunque azzeccatissimo, a partire dal piglio risoluto e schietto con cui l’artista napoletana ne gestisce la comparsa in scena. Di Serena Gamberoni c’è veramente poco da dire, per il semplice fatto che è stata eccellente sotto tutti i punti di vista: ogni altro aggettivo potrebbe essere riduttivo. La vera primadonna della serata è stata lei, creando un Oscar divertente e malizioso e non una comparsata di routine. Funzionali i due congiurati (Antonio Barbagallo come Samuel e Enrico Rinaldo come Tom): ottimo il Silvano di Filippo Polinelli così come l’apporto del Coro del Teatro Regio diretto da Martino Faggiani. Successo incondizionato per tutti: molto apprezzata la coppia Meli-Gamberoni.
Foto Roberto Ricci Teatro Regio di Parma.