Il regista Damiano Michieletto è a Venezia, praticamente a casa, prima per il Don Giovanni, ora per Le Nozze di Figaro, in programma alla Fenice tra settembre e ottobre (in “prima” da questa sera, 14 ottobre 2011), entrambe con la direzione del maestro Antonello Manacorda.
La regia di un’Opera nasce prima, molto prima, magari nella Sala Loggione al quarto piano del Teatro. Un grande tavolo girevole, un pianoforte, alcuni leggii e molte sedie sono sufficienti per provare il terzo atto delle Nozze. Ci sono i cantanti che ricevono il respiro del regista e poi c’è lui, Michieletto che si muove, parla, suda con loro. “Ricordate, ci deve essere sempre un concetto dietro ogni scena” e per esprimerlo, accompagna lo spazio e il tempo con una scrupolosa ricerca di gesti e parole. Non si risparmia neanche davanti ad una performance lesbo tra due protagoniste: lui ce l’ha in testa, perfettamente, e per spiegarla con più precisione la esegue, altrettanto perfettamente.
La tensione cresce…una calamita attrarrebbe di meno. I vestiti di scena sono pesanti e non basta un ventaglio sventolato tra le pause ad abbassare la temperatura. Poi una sua battuta in qualche dialetto imparato dalle regie realizzate in tutta Italia ammorbidisce l’aria, distende il fiato, rinfresca le voci, e si riparte… “via saltiamo qui, e andiamo direttamente lì”.
Lo incontro insieme alle sue due assistenti, l’argentina Maria Victoria Di Pace e la napoletana Eleonora Gravagnola, entrambe con il programma delle prove in mano ma soprattutto in testa, in mezzo a loro l’inseparabile scenografo Paolo Fantin, e infine Andy J che saluta Damiano con un semplice “ciao superstar”. Così, visto da lontano, seduto al tavolo di un bar veneziano, Michieletto somiglia ad un Apollo circondato dalle sue Muse. Non tanto e non solo per il fascino, quanto per la capacità di attirare a sé artisti e collaboratori originali nel pensiero e nell’azione, ognuno con un proprio talento, espresso a mille, senza filtri né barriere. L’intervista è un concentrato di domande singole, ma risposte multiple, composte di scavo e ricerca delle parole, voli pindarici del pensiero, risate a più non posso, battute e colpi da spadaccino, elucubrazioni emotive. Divertente.
Se vedi uno spazio vuoto per istinto, quanto lo riempiresti?
30%. (poi pensa, ma il suo pensiero dura secondi, e poi minuti…). Non bisogna riempire lo spazio. E’ il verbo che è sbagliato. Uno spazio vuoto lo devi inventare, perché riempire significa che è come un sacchetto. In realtà puoi anche giocare con lo spazio vuoto.
Cosa è per voi la volgarità?
M. Ipocrisia. Tante volte nelle regie si dice “Ah, ma non puoi fare questa cosa perché è volgare”. In realtà è un po’ ipocrita chi afferma ciò, perché non vuole prendere sul serio il personaggio. Se c’è un protagonista violento sessualmente, dire che non si può mettere in scena è un limite, è un pregiudizio. E colui che lo dice esprime un suo limite o forse è una difesa, la paura di essere diverso. Quando si pensa alla volgarità in genere ci si riferisce alla sessualità e invece volgare è per esempio imbrattare un muro, fare qualcosa che dimostra mancanza di sensibilità. Ecco la volgarità per me è proprio questo: la mancanza di sensibilità e di intelligenza. Non è fare cose sessualmente disinibite o spingere al livello estremo situazioni drammatiche, che invece servono per rendere la cosa teatralmente efficace fino al punto che possa risultare anche scomoda allo spettatore, fastidiosa. Nella maggior parte dei casi noi raccontiamo delle storie molto estreme: avere l’onestà di renderle sul palcoscenico non è volgarità. Poi è giusto che ognuno lo faccia come vuole, in un modo o nell’altro, piace o non piace, ma non è che per partito si può dire che è volgare. Come una volta che facevano gli affreschi e poi gli mettevano le mutande per pudore…è più volgare e disonesto mettere che togliere.
Fantin
Quando si parla di sessualità spesso si pensa a cose volgari. In verità si può parlare di sesso senza essere volgari.
Avendo curato la regia per tutte e tre le opere della trilogia di Mozart, a quale sei più affezionato? Nella tua regia c’è un fil rouge che le lega?
M. Pensavo di essere più affezionato a Don Giovanni, ma mi sto affezionando tantissimo a Nozze da quando la sto facendo e sicuramente sarà lo stesso per Così fan tutte. Le tre opere sono legate dall’analisi dell’intimità dei personaggi, dei loro pensieri.
Ma hai già fatto Così fan tutte?
Sì, ma non qui a Venezia. Delle tre pensavo che Così fan tutte fosse quella più leggera, e anche un po’ banale e monotona, farsesca. Invece realizzandola mi sono accorto che anche quella va a fondo, tanto.
Il colore che non manca mai nei vostri lavori?
M. Il viola…non si vede? (Indossa una camicia viola e ricordo che in occasione di una precedente intervista osava una cravatta viola su un completo nero…alla faccia della superstizione!)
F.Il blu.
La regia dei vostri sogni?
M. Ma vuoi un titolo? Un punto di arrivo o di partenza? E’ quella che mi fa sognare. In verità è…. Beh, non ho una regia dei miei sogni.
F. Sicuramente non un’opera italiana. Per me Wagner, perché è visionario. Mi piacerebbe anche Faust e un Giro di vite.
Un velo bianco trasparente e un palcoscenico. Cosa ne fai?
M. Una nave. E’ una domanda più per Paolo.
F. Le Nozze di Figaro. Nelle Nozze della Fenice c’è un velo, è il leit-motif della nostra regia.
Cosa ti fa arrabbiare di più nel tuo lavoro?
M. Io non mi arrabbio mai. Diciamo quando uno prende le cose non seriamente, quando non è professionale. Spesso per esempio può succedere che in relazione al lavoro sul palcoscenico non si è professionali. Quando io chiedo “Riuscite a montare questa scena?”, la risposta è del tipo “Sì, vedremo, vedremo!” Grazie, ma se sei il direttore del palco, devi sapere cosa sei in grado di fare. Tutti sono capaci di fare il direttore dicendo “vediamo”, ma questa parola la può dire un collaboratore. Se sei un leader devi dire “Ti prometto questo e quello”, così come regista io mi posso porre un obiettivo da raggiungere. Mi da fastidio il pressappochismo e anche chi si prende esageratamente sul serio. Io non voglio dare l’impressione di essere troppo severo.
Quale dei cinque sensi è essenziale per fare meglio il vostro lavoro?
M. Tatto.
F. Vista.
Oltre il teatro musicale e la prosa, ti piacerebbe curare la regia di altre forme di spettacolo?
M. Sì, le inaugurazioni dei grandi eventi. Stavamo ragionando sull’inaugurazione del nuovo stadio della Juventus, però coincideva con questa produzione e non ci siamo potuti andare. Lavorare su cose che sono teatrali, ma che non avvengono dentro un teatro, così non bisogna subire schemi, misure sempre uguali. Hai comunque l’obiettivo di comunicare, ma puoi inventare le cose con più creatività e libertà.
Città preferita?
M. Londra.
F. Madrid.
Fiore preferito?
M. La viola.
F. Non ho la passione per i fiori.
Stagione dell’anno?
M. Se dico autunno, passo per il malinconico…la pizza quattro stagioni!
F. Primavera.
In cosa siete più spendaccioni?
M. Aspetta…c’è qualcosa su cui spendo…spendo poco!
F. Informatica e arredamento.
Collezionate qualcosa?
M. Adesso non colleziono niente. Da piccolo francobolli con mia sorella, ma era lei la specialista. Io mi limitavo a staccarli dalla cartina. Adesso colleziono emozioni. No, non colleziono niente!
F. Nulla.
Cosa manca nella vostra vita di oggi?
M. Un psicoterapeuta! In che campo? A me manca trovare la mia casa.
F. Tempo libero. Vacanze.
La volta che avete riso di più?
M. Da adolescente, a scuola con i miei amici.
F. A casa, a casa mia.
Si intromette Michieletto “Paolo può scrivere cinque minuti fa, perché lui prende tutto con molta ironia. Rispondo io alle sue domande perché le so meglio delle mie!”
Siete superstiziosi?
M. No.
F. Qualcosina, tipo il chiodo piegato.
Il vostro peggior difetto?
M. A volte sono egoista.
F. Anche io.
La vostra più grande delusione?
M. Non avere mai vinto una gara di ciclismo su strada. Sono arrivato secondo un sacco di volte, ma cavolo non ho potuto dire sono arrivato uno! Precisa per favore “ciclismo su strada” perchè in verità ho vinto altre gare, tipo mountain bike, ciclocross, ma su strada non l’ho mai vinta.
F. La più recente, che forse però non è la più cocente, è una delusione da un adulto.
Vi rimangono dodici ore di vita. Cosa fate?
M. Vado in teatro, finisco la scena, do le consegne e dico “mi raccomando!”. Mi sparo subito! Mi ubriaco da solo. Ballo per dodici ore, cioè arrivo alla fine che faccio uno scioppon (colpo in veneziano) da solo.
F. Parto.
Vino bianco o rosso?
M. Rosso.
F. Anche per me.
Il posto dove si mangia peggio?
M. A Londra si mangia abbastanza male. Zurigo… Dipende dove vai. Scrivi “noi mangiamo sempre benissimo!”
F. Tokio.
A cosa pensate quando vi guardate allo specchio?
M. Peccato quella volta che mi sono spaccato il naso.
F. Peccato che ho perso i capelli.
Il vostro stato d’animo attuale?
M. Adrenalina.
F. Voglia di iniziare qualcosa di nuovo.
La parola che amate di più?
M. Luisa…Miller! (mi ero illusa!) Non so…”veranda’!
F. Gigi!
Chi invitereste alla cena dei tuoi sogni?
M. Scarlett Marie Johansson. Mi piace, ma ne ho anche altre che mi piacciono. No, mi piace lei. Una gran “gnocca”.
F. La persona che amo.
Come evolvi nel tuo lavoro?
M. Devi mantenere la curiosità e accettare la fatica di metterti in discussione. Perché la cosa che succede spesso è che uno comincia a fare tante cose, poi va avanti per inerzia. Finalmente libero dall’intervista e lontano dal mio microfono, il gruppo si lascia andare a scherzi e prese in giro, stile compagni di scuola. Mancano solo i lanci di palline di carta… Purtroppo il tempo della ricreazione è scaduto ed è ora di tornare in teatro per le prove del primo atto del Don Giovanni e del terzo delle Nozze. Quando una squadra si dice vincente!
Foto di Pietro Spagnoli