Carlo Sturla (XVIII sec.):”Passio di Venerdì Santo”

Passio di Venerdì Santo, Passione secondo Giovanni. Il Concento Ecclesiastico, Basso continuo: Marlise Goidanich (cello), Nicola Barbieri (violone), Marianne Gubri (arpa doppia), Eduardo Figueroa (tiorba, chitarra baroca), Davide Merello (organo).  Emanuela Esposito, Marina Frandi (contralto ), Laura Dalfino (soprano), Luca Franco Ferrari (direzione). Registrazione: 3–5 settembre 2006, Chiesa del Convento di Santa Caterina, Genova. 1 CD Brilliant Classics – BC 94184
Prima registrazione assoluta di una partitura carica di forti suggestioni espressive composta dal ligure  Carlo Strula, un autore del quale si hanno ben poche notizie.  Questa Passio di Venerdì Santo è una trasposizione musicale del  testo evangelico di Giovanni eleaborato in un alternarsi tra  il “cantus firmus” gregoriano e  brevi cori a due voci, recitativi e brevi arie per soprano e contralto, che mostrano una chiara scrittura melodrammatica. L’organico strumentale è ridotto: il solo “basso continuo”, composto da  cinque strumenti utilizzati “ad libitum”  per dare la massima espressività allo sviuppo del dramma della Passione di Cristo. Una partitura unica nel suo genere, carica di phatos e interpretata con grande sensibilità dai solisti vocalie e strumentisti de “Il Concerto Ecclesiastico diretti da Luca Franco Ferrari che è anche lo scopritore e revisore della partitura.
Proprio su Carlo Sturla, sul contesto storico della Genova del XVIII sec. e su questa partitura ecco cosa ci ha raccontato Luca Franco Ferrari
Sotto il nome di Carlo Sturla è giunto fino a noi solo un piccolo gruppo di manoscritti custoditi nel Fondo antico del Conservatorio di Genova: si tratta di composizioni sacre a una o più voci e strumenti, che ci permettono di collocare il compositore nella prima metà del Settecento. Possiamo supporre che sia nato a Genova basandoci sul toponimo Sturla, che si riferisce all’antico borgo marinaro oggi inglobato nella municipalità cittadina; sappiamo con certezza che qui ha lavorato, in una città dove nei primi decenni del Settecento si moltiplicavano le occasioni musicali, tra teatri pubblici, teatri appartenenti all’oligarchia cittadina, chiese e conventi.
In questo periodo a Genova erano presenti molti conventi femminili, dove, secondo una tradizione ormai affermata, la musica rivestiva un’enorme importanza, e dove potevano emergere e svilupparsi i talenti canori delle fanciulle che vi venivano ospitate. In alcuni casi l’attività musicale poteva essere l’unico fulcro di interesse e la sola apertura verso il mondo esterno che aiutasse le giovani religiose a sopportare una monacazione forzata o mal accettata. Numerose fonti testimoniano che l’esercizio della musica non era sempre ben visto dalle madri superiori: spesso le badesse si lamentavano del continuo andirivieni di musicisti, maestri di canto e melomani, che distraevano le monache dai loro doveri penitenziali e dopo le cerimonie si attardavano più del dovuto nei parlatori. In effetti l’unica citazione del nome di Carlo Sturla finora emersa proviene dal registro del parlatorio delle Suore del Santissimo Salvatore presso il convento di Santa Brigida, dove il musicista operava: in questi documenti si stigmatizzano l’assiduità e lo zelo eccessivo dello stesso nel frequentare le giovani monache virtuose di canto.
La Settimana Santa rivestiva un significato particolare per le spose di Cristo, ed era considerato un dovere della massima importanza “far dire il passio, et la settimana santa le solite cerimonie di mattutini, passi et altro…”. Nei monasteri con gruppi vocali era uso commissionare le musiche necessarie ad autori locali per farle eseguire durante la liturgia della Settimana Santa dalle suore, di solito a favore di un pubblico di melomani che spesso sceglieva le chiese in base alla fama delle voci o al repertorio eseguito, e non per la devozione ispirata dal luogo sacro. Proprio in questo contesto si colloca il
Passio di Venerdì Santo, turba a due voci e alto di Carlo Sturla, composto per un convento di clausura. Le turbae (discepoli ed ebrei), nel musicare la passione di Cristo, già dal XIV secolo erano affidate al coro, quasi a dar voce alle raffigurazioni rappresentanti la folla che si riunisce ai piedi del Calvario. In epoca barocca la liturgia ufficiale prescrive, insieme alle note proibizioni di utilizzare lo stile concertante durante la Settimana Santa, che vengano musicate solo le turbae e i soliloquentes (l’ancella, Pietro, Pilato), escluso Cristo. Il resto della narrazione poteva essere letto o cantato dal celebrante, o, come in questo caso, dalla badessa. Le lectiones del venerdì santo sono affidate al testo di Giovanni; nel Passio di Sturla il manoscritto si interrompe nel momento in cui la tunica di Cristo viene sorteggiata fra i soldati.
L’evangelista in questa esecuzione si esprime attraverso il canto gregoriano: si è scelto di accompagnarlo con il basso continuo secondo l’uso e il gusto dell’epoca, che rifuggivano la staticità del canto piano e lo trasformavano attribuendogli un inevitabile sostegno armonico-strumentale, così da donargli quella “vaghezza e leggiadria” tanto ambita. Si è voluto differenziare la narrazione (sostenuta dall’organo) dalle parole di Cristo, che vengono messe in risalto da una più ricca strumentazione del basso continuo.
Gli interventi dei “
soliloquentes” sono affidati a brevi recitativi e arie per soprano e contralto, mentre le turbae vengono rappresentate dalla polifonia a due voci. Il melodramma ha ormai acquisito una supremazia assoluta, tanto da influire pesantemente anche sulla musica sacra: inutile dire che lo stile delle arie è molto lontano dalla tragicità e profondità del racconto delle sofferenze di Cristo. Si tratta di vere e proprie arie da melodramma, volte a mettere in risalto l’agilità o la cantabilità delle voci, e ad esprimere “vaghi e leggiadri” sentimenti. La teatralità delle intenzioni emerge dalle irrispettose risate con le quali le turbe scherniscono Cristo, in Ave rex iudeorum, o dai brevi recitativi dei solisti di gusto prettamente operistico, o dalla iterazione ad effetto, dopo la sospensione della cadenza di inganno, delle chiuse.
La scrittura è lineare, lo stile delle arie volutamente semplice; la perizia del compositore si rivela attraverso momenti di delicato lirismo (
Ego nullam invenio), di virtuosismo aggraziato e mai eccessivo (Nonne ego), e nella capacità di modellare le melodie con estrema morbidezza e cantabilità. E’ indubbio che Sturla abbia studiato e fatto proprio lo stile delle opere, rappresentate nei teatri di Genova, dei più grandi e famosi compositori a lui contemporanei; ma possiamo anche supporre che con alcuni di essi sia venuto in contatto diretto, quando hanno transitato o soggiornato in una delle città più attive musicalmente dell’epoca.
La partitura l’ho scovata nel fondo antico della Biblioteca del Conservatorio Paganini molto tempo fa, ancora studente, quando la mia curiosità verso il repertorio antico locale mi portava a passare intere giornate setacciando i principali fondi musicali genovesi. La prima cosa che mi colpì fu proprio la discrepanza tra l’argomento “quaresimale” e il brio delle parti concertate. Ne feci una riproduzione fotografica e iniziai a trascrivere la partitura a mano, ma il tutto cadde nel nulla.
Recentemente, in occasione del Festival di musica classica genovese, mi venne chiesto di formulare un progetto concertistico di musica genovese del periodo barocco strettamente legata alla Settimana Santa. E fu in quell’ambito che il progetto di esecuzione della Passione di Carlo Sturla prese nuovamente vita, prevedendo l’esecuzione concertistica in svariate repliche e l’incisione discografica.
Luca Franco Ferrari