Fondazione Arena di Verona – 89° Festival 2011
“ROMÉO ET JULIETTE”
Opera in cinque atti su libretto di Jules Barbier e Michel Carré tratto da Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
Musica di Charles Gounod
Juliette NINO MACHAIDZE
Stéphano KETEVAN KEMOKLIDZE
Gertrude CRISTINA MELIS
Roméo STEFANO SECCO
Tybalt JEAN FRANÇOIS BORRAS
Benvolio PAOLO ANTOGNETTI
Mercutio ARTUR RUCINSKI
Pâris NICOLÒ CERIANI
Grégorio GIANPIERO RUGGERI
Capulet MANRICO SIGNORINI
Frère Laurent GIORGIO GIUSEPPINI
Le duc de Vérone DEYAN VATCHKOV
Coro e Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Fabio Mastrangelo
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Coreografo Nikos Lagousakos
Lighting designer Paolo Mazzon
Verona, 24 agosto 2011
Loro sono la coppia di amanti più celebri al mondo. Si amano da secoli e da secoli si fanno amare: è un mito senza fine il loro, un amore talmente grande da coinvolgere l’arte intera. È con la musica ovviamente che gli innamorati di Verona scelgono di fare ritorno all’Arena, nella sfarzosa versione di Charles Gounod: un progetto fortemente voluto questo Roméo et Juliette dalla Fondazione Arena che, cavalcando l’onda della repentina riscoperta del titolo nei teatri italiani, vorrebbe far rientrare l’opera tra i “leitmotiv” delle future stagioni estive.
L’elemento che caratterizza in modo vistoso il nuovo allestimento areniano, che vede la regia di Francesco Micheli e le scene di Edoardo Sanchi, è la componente ferrea della scena. Metallica è la struttura circolare divisa in due blocchi che al proprio schiudersi ospita, in tre ordini interni, il coro; così come la sfera nella quale avviene il combattimento prima tra Mercutio e Tybalt e poi tra quest’ultimo e Roméo. Ferro che rimanda inevitabilmente al clangore delle armi, ma anche a convenzioni e costrizioni (sintomatico in questo senso è l’ordito metallico di cui è vestita Juliette all’inizio dell’opera e durante i preparativi per il matrimonio), potere e autorità (gli ingressi su strutture mobili quasi “corazzate” di Capulet e del Duc de Vérone). Una visone del dramma che quindi ha referenti e chiave di lettura in una cultura “pulp” e, perché no, fantasy volendo così proiettare la storia degli innamorati in un futuro non ben precisato. Latita però una regia vera e propria: non c’è creazione e sviluppo del personaggio, non c’è gestione dei movimenti e delle masse. Il tutto sembra congelarsi in una gigantesca coreografia. Coreografia che ha ragion d’essere in determinati frangenti, come la festa iniziale, ma che appiattisce e smorza la narrazione in coincidenza di altri, come i movimenti pantomimici cui sono costretti i compagni di Mercutio durante l’esecuzione della ballata o, ancor peggio, la coreografia eseguita dalle danzatrici inguainate di rosso durante l’aria del veleno di Juliette, snodo narrativo che vorrebbe la protagonista sola e immersa nello smarrimento più profondo. Una partitura coreografica può ovviare in qualche misura al problema della gestione delle masse ma si dovrebbe puntare a varietà, versatilità, fantasia e immaginazione: non è il caso di Nikos Lagousakos. In definitiva, un allestimento che non trova il suo punto di forza nella componte estetica, ma che avrebbe una sua ragion d’essere se meglio gestito e privato di inutili sovrastrutture. I costumi di Silvia Aymonino si limitano a delineare in maniera sommaria i due schieramenti rivali; ordinari sono i costumi dei due protagonisti e il resto. Le luci di Paolo Mazzon semplicemente non contribuiscono ad effettivo arricchimento scenico, risultando monotone.
Nino Machaidze, dopo il debutto salisburghese, ha vestito i panni di Juliette sui più prestigiosi palcoscenici internazionali: Londra, Venezia, Milano… Eccola quindi al suo debutto areniano. Scenicamente è risultata deliziosa e spigliata, mostrando disinvoltura e buona confidenza con la scena. La voce ha mostrato sufficiente volume, ma la linea di canto non è particolarmente raffinata: il giovane soprano emette spesso suoni poco sostenuti e acuti aciduli. Manca inoltre una fraseggio vero, un ventaglio di colori e varietà di toni in grado di giustificare l’evoluzione psicologia del personaggio. Stefano Secco si apprestava ad un duplice debutto: nel ruolo di Roméo e sulla scena areniana. Il tenore milanese ha dalla sua una qualità rara: l’eleganza. Il canto è sempre sfumato e mai muscolare, prezioso e variegato nel porgere; possiede inoltre musicalità e bel colore lirico. Resta il fatto che la voce sia veramente troppo piccola e, di conseguenza, spesso poco udibile per l’oneroso ruolo di Roméo, col risultato di opacizzare la zona acuta che risulta spesso esangue. Quanto al resto del cast, le uniche prestazioni rilevanti sono state il Mercutio di Artur Rucinski, che ha unito una buona caratterizzazione del personaggio ad un canto abbastanza corretto, lo Stéphano di Ketevan Kemoklidze che ha eseguito con bella dinamica e aderenza stilistica la celebre canzone della tourterelle e la buona Gertrude di Cristina Melis. Volgare e stentato il Comte Capulet di Manrico Signorini, evanescente il Tybalt di Jean François Borras così come il Frère Laurent di Giorgio Giuseppini. Molto forzato il Duc de Vérone di Deyan Vatchkov. Fabio Mastrangelo si adegua ad una lettura piuttosto “areniana” dell’opera: sonorità corpose (a volte troppo…) che avrebbero bisogno di essere gestite con maggior dinamismo. Discreta la prova dell’Orchestra areniana così come il Coro, in special modo la compagine maschile. Svariati settori vuoti ma pubblico attento e partecipe: molti gli applausi.
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona.