Arnaud Bernard nato nel 1966, inizia lo studio del violino all’età di sei anni, per poi entrare in conservatorio, dove ha completato gli studi musicali. Nel 1988 diviene assistente del regista Nicolas Joël e anche di Jean Claude Auvray; l’anno successivo è assunto come direttore di scena e come assistente alla messinscena dal Théâtre du Capitole di Toulouse. Inizia così un’intensa attività registica, che lo ha portato nei maggiori teatri francesi ed internazionali (Stati Uniti, Germania, Belgio, Inghilterra, Argentina, Svizzera, Italia). Ha seguito Joël nei più prestigiosi teatri del mondo come la Scala, la Royal Opera House-Covent-Garden di Londra, il Metropolitan Opera di New York, il Teatro Colon di Buenos Aires ecc. All’Arena di Verona ha debuttato nel 2005 con la regia della Bohème di Puccini, ripresa nel 2007 e nel 2011 per l’89°Festival lirico.
Arnaud, bentornato a Verona a riproporre la tua Bohème: dal 2005 a oggi è cambiata la tua visione dell’opera… Ti pone delle problematiche diverse questa ripresa?
Direi proprio di no. Sono semplicemente molto contento ed emozionato di essere qui a Verona e di riproporre Bohème. Non è uno spettacolo nuovo. Conosco perfettamente gli spazi e le situazioni. Da questo punto di vista sono assolutamente tranquillo… Se fosse stato un brutto spettacolo non credo sarei qui. Già questo mi rende contento.
Sicuramente. Ma hai cambiato qualcosa nell’impostazione dello spettacolo?
Direi di no. Nella sostanza l’impostazione generale rimane tale e quale. Soprattutto per ciò che riguarda le scene di massa. Discorso diverso per i personaggi. Bohème è un’opera che amo e che conosco benissimo e quindi mi piace trovare nuove sfumature nei caratteri dei vari protagonisti. Per altro mi trovo anche con un cast in parte diverso.
Come è la tua metodologia di lavoro sui cantanti?
Io mi adatto sempre alla natura interpretativa dei cantanti. Forzarne le personalità è assolutamente controproducente. So di avere un carattere non facile, esigente con gli altri, perchè lo sono molto anche verso me stesso. In ogni caso amo il confronto e con i cantanti ho sempre raggiunto un ottimo livello di collaborazione.
Cosa ami di Bohème?
Cosa non si può amare di Bohème! E’ l’opera che più di altre è lo specchio della nostra vita. In ognuno di noi c’è un po’ di Rodolfo, Mimì o Musetta. Lei e Marcello vivono delle situazioni di coppia perfettamente contemporanee. Non sta a me ribadire quanto in Bohème funziona veramente tutto. Non c’è un momento che sia teatralmente o musicalmente debole.
La recitazione in Arena, comporta una maggiore enfasi?
Sicuramente. Il gesto e l’azione devono essere sempre chiari e percepiti chiaramente anche dallo spettatore più lontano. Per me è fondamentale imprimere un ritmo costante all’azione, senza tempi morti. Il mio spazio scenico è pienamente vissuto dai cantanti: vivono pienamente i luoghi, in particolare la soffitta. Per me è stato fondamentale unire senza nessuna pausa, i quadri primo e secondo.
Una scelta, per altro molto spettacolare…
Si, anche, ma non fine a se stessa…
Dei ritmi, i tuoi, quasi cinematografici, all’interno di una cornice visiva stilizzata ma anche tradizionale…
Certo. La mia idea iniziale è stata da subito quella di unire tradizione a un ritmo teatrale moderno, essenziale, pulito. Per me non ha nessun senso una grande e costosissima scengografia per ricreare un’inutile quadro di Parigi se poi sulla scena la recitazione non esiste. Poi non credo che mostrare Parigi sia un aspetto fondamentale, è come per Il Barbiere di Siviglia. Il luogo è un dettaglio secondario. Certo, in Bohème sono citati i tetti, il caffè Momus, ma quello che conta sono i rapporti tra i personaggi. Ripeto, Bohème è la nostra vita. Quale altra opera è così vicina a noi? Ricordo ancora perfettamente quando, nel 2005, l’allora sovrintendente Claudio Orazi, mi offrì l’opportunità di creare Bohème in Arena. Stavo guidando e mi fermai, stupito e incredulo. Fu una gestazione estremamente veloce, perchè nella mia testa c’era già tutto il disegno dell’opera.
Affrontando quest’opera, così popolare e realizzata in tantissimi modi diversi, ci sono degli allestimenti fatti da altri che ricordi in modo particolare?
Non voglio apparire preseuntuoso ma, quando ho iniziato a fare il regista, l’ho fatto perché sentivo che potevo esprimere una mia visione del teatro, in particolare dell’opera lirica. Io ho imperniato il mio lavoro solo attorno all’opera. Tornando a Bohème, posso solo dirti di preferire di gran lunga quella tradizionalissima di Zeffirelli, piuttosto di vedere trasposizioni assurde.
Se ti fosse offerto di lanciarti in un’altra avventura areniana, cosa vorresti fare?
Vorrei sfidare quel “mostro sacro” areniano che è Aida, ma anche Carmen o titoli meno desueti come Simon Boccanegra o Macbeth. L’importante è creare degli spettacoli che siano coinvolgenti, non delle “opere concerto”, dei bei “tableaux” e basta.
Hai fatto cenno che il tuo lavoro si concentra solo sull’opera…
Si. Ero poco più che adolescente, studiavo musica. Ebbi l’occasione di assistere a una rappresentazione dell’Olandese volante di Wagner – ricordo che era uno spettacolo di Pier Luigi Pizzi. Fu un vero “colpo di fulmine”. Abbandonai gli studi musicali e mi gettai nel mondo del teatro lirico.
Per te, opera vuol dire proprio tutto il mondo del melodramma, anche il Barocco? Tu sei francese è nel tuo Paese c’è molta attenzione per la “Tragedie-lyrique” di un Lully o Rameau…
Nooooo! Per carità! Il Barocco non è il mondo. Anche come spettatore, con tutto il rispetto, non reggerei un’opera di Lully o Rameau. Lascio questi lavori ad altri.
Cosa ne pensi delle opere negli stadi. Tu accetteresti di realizzare un’opera in questi spazi?
Certo. Non ha importanza dove, ma la qualità dell’operazione.
Hai mai creato un’opera in luoghi…”strani”?
No….solo nella mia testa!
La Bohème sarà in scena all’Arena dal 6 al 2 settembre. Per tutte le informazioni vi rimandiamo al sito dell’ Arena di Verona