New York, Metropolitan Opera, Stagione lirica 2010 / 2011
“WOZZECK”
Opera in tre atti e quindici scene dal dramma Woyzeck di Buchner
Libretto e musica di Alban Berg
Marie WALTRAUD MEIER
Il Tamburmaggiore STUART SKELTON
Il Capitano GERHARD SIEGEL
Wozzeck ALAN HELD
Il Dottore WALTER FINK
Margret WENDY WHITE
Andres RUSSELL THOMAS
Due garzoni RICHARD BERNSTEIN, MARK SCHOWALTER
Il pazzo PHILIPPE CASTAGNER
Un soldato DANIEL CLARK SMITH
Un cittadino RAYMOND APARENTADO
Il bambino di Marie JOHN ALBERT
Coro e Orchestra Metropolitan Opera
Direttore James Levine
Regia Mark Lamos
Scene e costumi Robert Israel
Luci James F. Ingalls
New York, 16 aprile 2011
Il viaggio musicale ed emotivo rappresentato da Wozzeck non è facile. La partitura è portatrice di tanto studio al punto che un ascoltatore inesperto potrebbe non apprezzare la ricchezza drammatica e l’architettura formale della creazione di Berg. Inoltre, l’organica padronanza della partitura da parte di James Levine, combinata con un cast molto forte, hanno dato vita ad un pomeriggio memorabile.
L’opera, scritta in tre atti, è stata presentata senza intervallo. Delle brevi pause sono state create per permettere al pubblico di rilassarsi, chiacchierare o controllare la posta elettronica. La decisione di presentare questo lavoro senza intervallo si è rivelata saggia. Permettere al pubblico di svagarsi, bere un bicchiere di champagne o una tazza di caffé e dopo dover ritrovare la concentrazione dopo un normale intervallo avrebbe disperso l’energia drammatica dell’esibizione.
Punto di forza di questa esecuzione è stato James Levine, che è stato accolto con una autentica ovazione mentre lentamente avanzava verso il podio. Nessuno nel pubblico ha mai avuto la sensazione che il direttore d’orchestra fosse un semplice direttore del traffico. Levine ha presentato il lavoro come un ininterrotto campo di energia. Già solo il suo linguaggio corporeo sembrava ispirare l’orchestra e il cast con la sua grande economia di movimenti.
Questa favola perennemente cupa, sceneggiata da Georg Buechner, è tratta da una storia vera. Woyzeck, un ex soldato proletario, viene, insieme alla sua amante Marie e il loro figlioletto, inevitabilmente travolto in una spirale di degrado, povertà e soggiogamento a forze schiaccianti oltre il suo controllo. Il vero Woyzeck fu incarcerato e condannato a morte per l’assassinio della sua amante nel 1821.
La scena claustrofobica creata da Robert Israel si presenta come un ambiente alquanto semplice, con delle colonne e degli spazi geometrici. In questa cornice erano inseriti i personaggi, vestiti con costumi che si rifacevano a un periodo precedente alla I Guerra Mondiale. Le figure drammatiche erano illuminate in modo tale da proiettare le loro ombre su angoli surreali della scenografia mentre interagivano.
Alan Held ha interpretato Wozzeck, non come un subalterno provato, ma come un essere umano che ribolle di rabbia e frustrazione. Anche il suo iniziale e monotono “Ja Wohl, Herr Hauptmann” aveva un che di minaccioso che presagiva la sua successiva caduta nella rabbia animalesca e nell’omicidio. Cantando con grande intensità e una qualità vocale impressionante, non ha avuto paura di spingere la sua interpretazione vocale fino al massimo delle potenzialità espressive. Il risultato, in particolare durante le sue allucinazioni infuse di panico del primo atto, ha avuto un impatto travolgente.
Waltraud Meier ha avuto la capacità drammatica di presentare Marie in tutte le sue sfaccettature: la madre disperata; il lussurioso e licenzioso oggetto del desiderio del Tambumaggiore (cantato con vigore da Stuart Skelton); e la creatura in gabbia che causa la propria morte respingendo Wozzeck con il verso “meglio un coltello nello stomaco che le tue mani su di me.” Il suo ritratto drammatico è stato a tutto tondo, veramente da brividi.
Il dottore (Walter Fink) e il Capitano (Gerhard Siegel) hanno interpretato i loro ruoli con maligno e distaccato sadismo. Entrambi sono riusciti a proiettare nella sala i loro versi verbosi con un fraseggio netto e scolpito.
Lo sfondo all’uccisione di Marie da parte di Wozzeck nell’ultimo atto era un’immensa luna iniettata di sangue, segnata da striature che sembrano cicatrici e ricordano la retina umana. Lo stagno astratto in cui Wozzeck affoga era una fascia unidimensionale, color ruggine che attraversava la parte posteriore del palco. L’effetto visivo risultante sottolineava il profondo nichilismo del dramma. Dopo l’ovazione che ha sancito la conclusione del pomeriggio, se ne usciva con la angosciante consapevolezza che nella privilegiata e opulenta New York, così come nel mondo, ci sono ancora molti Wozzeck.