Ferrara, Teatro Nuovo: “La Divina Commedia”

Ferrara, Teatro Nuovo
“LA DIVINA COMMEDIA – L’OPERA ”

Opera musicale in due atti
Libretto e liriche di Gianmario Pagano e Marco Frisina, dalla “Divina Commedia” di Dante Alighieri
Musiche di Marco Frisina
Dante Alighieri VITTORIO BARI
Beatrice Portinari MARIANGELA ARUANNO
Virgilio LALO CIBELLI
Caronte, Conte Ugolino, San Tommaso d’Aquino PAOLO BIANCA
Pier delle Vigne, Arnaut Daniel GIORGIO ADAMO
Ulisse, Guido Guinizelli, San Bernardo di Chiaravalle GIOVANNI DE FILIPPI
Francesca da Rimini, Matelda, Pia De’Tolomei, Piccarda Donati ELENA TAVELLA
Regia e coreografie di Manolo Casalino
Creature fantastiche di Carlo Rambaldi
Visual design di Sara Caliumi
Stage design di Barbara Mapelli
Light design di Alessandro Velletrani
Sound engineering di Emiliano Esposti
Ferrara, 06 maggio 2011
Lo spettacolo andato in scena al Teatro Nuovo di Ferrara è la versione ridotta del ben più faraonico allestimento dell’opera musicale composta da Mons. Marco Frisina, andato in scena per la prima volta a Roma nel 2007 e che verrà riproposto il 27 giugno prossimo all’Arena di Verona. Basata sul celebre capolavoro della letteratura italiana di Dante Alighieri, la composizione di Mons. Frisina è certamente un cimento ambizioso, le cui intenzioni vanno lodate, ma va anche specificato che non si tratta di un’opera nell’accezione classica del termine, come darebbe ad intendere la dicitura ufficiale “opera musicale in due atti”: diciamo che La Divina Commedia è il risultato dell’incontro fra l’opera lirica e il Monster Ball Tour di Lady Gaga, metaforicamente parlando – un musical (genere, peraltro, già da altri definito come l’evoluzione moderna dell’operetta) di impianto scenico e tecnico molto moderno, al passo con i concerti pop più blasonati e celebrati degli ultimi anni, “che, partendo dalle sonorità del rock esprime la drammaticità dell’Inferno e, attraverso le struggenti melodie del Purgatorio, giunge al Paradiso, dove arie sinfoniche accompagnano un’esplosione di colori e luci [i corsivi sono nostri, n.d.r.]”, come si legge nel tour programme.
Proprio in quanto musical, siamo ben lontani dai classici di Lloyd Weber, come Evita, o di Broadway, come Dreamgirls, in parte perché la composizione manca di pezzi forti e memorabili che si imprimono a fuoco nella memoria collettiva e in parte perché l’impianto pop non è comunque predominante, in quanto riecheggiano evidenti le influenze che la musica classica e quella sacra, insieme alle colonne sonore hollywoodiane di Danny Elfman, hanno avuto su Mons. Frisina. Un pastiche di generi interessante e godibile che, però, manca di quell’epicità che, seppur insita nel testo di partenza che viene ripreso quasi del tutto fedelmente nel libretto di Gianmario Pagano, fa riconoscere infallibilmente uno spettacolo destinato a rimanere in cartellone per anni e anni, come caposaldo del genere. Probabilmente, proprio l’aderenza quasi parossistica al poema dantesco ha finito col giocare a sfavore della partitura, in tal senso. Non mancano, tuttavia, momenti particolarmente intensi e godibili come il concertato finale del primo atto, che risulta più accattivante e drammaticamente denso del secondo.
La scenografia ha rappresentato uno dei punti forti dello spettacolo: come già anticipato, in pieno stile concerto pop, su due teli trasparenti venivano proiettate immagini dinamiche, che riprendevano le incisioni di Gustav Dorè, e versi del poema, immergendo l’azione scenica in suggestivi paesaggi irreali, ma anche molto verosimili che davano l’impressione di essere compagni di Dante nel suo viaggio per i regni dell’oltretomba, dando un senso di profondità che effettivamente suggerisce la discesa (agli Inferi) e la salita (alla montagna dove si trova Beatrice). Memorabile ed inquietante il Lucifero creato dal premio Oscar Carlo Rambaldi. Le luci di Alessandro Velletrani sono state un efficace complemento all’allestimento scenico.
I costumi non particolarmente elaborati nel complesso sono risultati comunque efficaci per la resa scenica dei personaggi: in particolare, va segnalato il costume di Beatrice, rosso come l’amore che incarna, così come i veli rossi impalpabili dei lussuriosi che si muovono intorno a Paolo e Francesca, fiamme infernali e di passione che attanagliano i loro corpi.
La regia e le coreografie di Manolo Casalino sono essenziali e piuttosto snelle, per forza di cose, ma non per questo prive di spunti interessanti, come il doppio di Dante che balla dietro il protagonista, mentre canta sul proscenio, riproponendone i versi e l’azione drammatica attraverso la danza. Unico neo, forse, una certa enfasi nella recitazione che talvolta è sembrata un po’ sopra le righe.
Per quanto riguarda il cast, va subito detto che l’impegno profuso da tutti è stato notevole e gli esiti più che lodevoli. Tuttavia, hanno svettato il giovane tenore Vittorio Bari, nel ruolo di Dante (e già Ugolino e Tommaso nell’allestimento del 2007), Lalo Cibelli (Virgilio) e Giovanni De Filippi (Ulisse, Guido Guinizzelli e San Bernardo di Chiaravalle), la cui formazione ed estrazione operistica di ottimo livello era evidente. In particolare, il protagonista, Vittorio Bari, si è distinto per la voce di bel timbro, la cristallina linea di canto, il fraseggio nitido e l’interpretazione vibrante, che sono ben evidenti nel brano “A riveder le stelle” che, insieme al concertato finale, chiude il primo atto, e in “L’ora che volge il disio” del secondo atto. Chi scrive si augura che, in questa Italia che falcidia l’arte e la cultura, i giovani artisti come Bari possano avere sempre più chance e visibilità, magari anche in altri ruoli, più “classici”, come, azzardiamo, Alfredo ne La Traviata.
La sicurezza tecnica di Lalo Cibelli ne ha fatto un Virgilio autorevole ed imperioso, di presenza scenica forte e di notevole impatto vocale. La tonante voce baritonale di Cibelli è stata un’eccellente contraltare a quella del protagonista. Struggente il suo “Addio di Virgilio” del secondo atto. La presenza scenica caratterizzata da una fisicità virile e solida, unita ad una voce espressiva, di buon timbro ed estensione, hanno nobilitato la performance ineccepibile di Giovanni De Filippi. Buona anche la prova di Paolo Bianca: vocalità e trasporto interpretativo sono stati di un livello più che accettabile.
Giorgio Adamo, è dotato di una buona voce, dal timbro melodioso e piacevole, ma che sconta sia il marchio operistico delle voci degli altri protagonisti, sia la sua cifra più pop. Lo stesso si può dire delle due protagoniste femminili, Mariangela Aruanno e Elena Tavella, dotate di un buon registro acuto pop, ma un pò carenti nei registri medio e basso, con conseguenti problemi di comprensione del fraseggio. Nei numeri corali, le voci dei loro colleghi in più di una occasione le hanno sovrastate, evidenziando le differenze di stile di canto e di emissione e facendo storcere un pò il naso circa l’efficacia delle armonizzazioni… ma se c’è da imputar colpe, queste non vanno di certo a loro, che in altro contesto e con altro cast avrebbero brillato meritatamente al pari degli altri eventuali colleghi.
Corretta ed apprezzabile la prova del corpo di ballo
, anche se, a voler proprio essere pignoli, delle pettinature meno trendy e una scelta più uniforme dell’underwear utilizzato per rappresentare le anime dei dannati avrebbero fatto più gioco e non avrebbero dato un certo senso di approssimazione nello styling. Accoglienza calorosa del pubblico che ha tributato una standing ovation al cast, alla sua ultima recita prima del ritorno in chiave kolossal.