Strasburgo, Opéra National du Rhin
“VEC MAKROPOULOS” (l’Affare Makropoulos)
Opera in tre atti, libretto e musica di Leoš Janáček
dal romanzo omonimo di Karel Čapek
Emilia Marty CHERYL BARKER
Albert Gregor CHARLES WORKMAN
Dr.Kolenaty ENRIC MARTINEZ-CASTIGNANI
Vitek GUY DE MEY
Krista ANGELIQUE NOLDUS
Jaroslav Prus MARTIN BARTA
Janek ENRICO CASARI
Hauk-Šendorf ANDREAS JAGGI
Un macchinista PETER LONGHAUER
Un’inserviente NADIA BIEBER
Orchestra sinfonica di Mulhouse
Coro dell’Opera National du Rhin
Direttore Friedemann Layer
Regia Robert Carsen
Scene Radu Boruzescu
Costumi Miruna Boruzescu
Luci Robert Carsen, Peter Van Praet
Drammaturgia Ian Burton
Coproduzione con lo Staatstheater Nürnberg e il Teatro La Fenice di Venezia
Strasburgo, 2 aprile 2011
Magnifico nuovo allestimento di “Věc Makropoulos (“l’Affare Makropoulos”) di Leoš Janáček all’Opera National du Rhin di Strasburgo con la regia di Robert Carsen e la direzione di Friedemann Layer.
L’Affare Makropoulos è un “unicum” nella storia del melodramma: è un’opera thriller, è un’opera fantastica ma è soprattutto il lavoro più autobiografico del compositore ceco Leoš Janáček. La protagonista dell’opera, Emilia Marty, è una diva dell’opera dal passato misterioso che solo alla fine dell’opera si scoprirà essere Elina Makropoulos, figlia del medico personale dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, vissuta per 337 anni, in seguito all’ingestione di un elisir di lunga vita creato ad hoc per il sovrano e fatto bere alla ragazza, allora sedicenne per provarne gli effetti prima di somministrarlo allo stesso Rodolfo. Ma la giovane, dopo un periodo di catalessi (per cui tra l’altro il padre viene fatto imprigionare dall’imperatore per ciarlataneria) si riprende e sopravvive trecento anni arrivando agli anni Venti del Novecento, epoca in cui inizia il dramma.
La donna, apparentemente cinica e spregiudicata è invece vittima di un destino atroce: sopravviverà a tutti i suoi numerosi amanti e dovrà cambiare più identità nel corso dell’opera mantenendo però sempre le stesse iniziali E.M.
Ora, il momento più felice, forse l’unico sulla scena per la povera Elina è l’incontro con il vecchio demente Hauk-Šendorf, rappresentazione in scena dello stesso compositore, che all’età di 72 anni viveva una relazione platonica con la giovane trentenne, maritata, Kamila Stösslová. Questa giovane donna, musa ispiratrice delle ultime opere del compositore, si raffigura pienamente anche e soprattutto nella figura di Emilia Marty. Nell’incontro con il vecchio demente, che giustamente Carsen rappresenta molto somigliante al compositore, la cantante ha il suo unico momento di felicità; mentre grida al suo vecchio amante una frase quasi senza senso, in un che di spagnoleggiante “Besame…bobo..bobazo”, accompagnata da una musica che esprime l’acme della passione rivive sinceramente i felici momenti trascorsi cinquanta anni prima con l’anziano ringiovanito (altro che amore platonico!).
Questa scena è risolta genialmente da Carsen (siamo alla metà del secondo atto): in una teatrale Cina favolistica apprendiamo che Emilia Marty è la protagonista della prima rappresentazione di “Turandot” di Giacomo Puccini (e il legame è molto suggestivo: le due opere sono entrambe del 1926, la prima di aprile e la seconda di dicembre e inoltre Turandot come Emilia è una donna gelida, apparentemente inumana, ma con una grande sofferenza nella vita passata). Il demente Hauk compare tra gli ammiratori festanti che portano immagini della locandina della prima di “Turandot” per l’autografo, immagini che sul retro hanno però il volto della prima interprete di Carmen di Bizet rappresentata giusto una cinquantina di anni prima. ‘E fantastico come Carsen con una sola immagine ci convinca che Emilia è anche Eugenia Montez, l’infuocata cantante gitana di mezzo secolo prima.
Vero teatro di emozioni!
Sarebbe impossibile citare ogni esempio dello spettacolo perché dovrebbero essere menzionati tutti, ma in ogni caso vogliamo ricordare alcuni momenti più salienti. Anzitutto la bellissima, enigmatica ouverture, diretta magnificamente da Friedemann Layer, il quale ha vivificato i profondi intrecci tematici che la attraversano, dall’ostinato ritmico iniziale alla grande espansione romantica alla fanfara arcaica dei tempi di Rodolfo II in una connessione nervosa, quasi agghiacciante. Alla bellezza sonora il regista ha fatto corrispondere una suggestione visiva originalissima: la protagonista Elina Makropoulos appare in abiti cinquecenteschi intenta a bere l’elisir di lunga vita, quindi con la rappresentazione del teatro nel teatro ce la presenta con continui cambi di abito sulla scena nel divenire dei secoli fino ad arrivare al Novecento (vestendo anche tra l’altro i panni di Floria Tosca, altra diva per eccellenza, con tanto di pugnale in mano). L’incipit di questa presentazione dell’eroina nell’ouverture ci comunica subito la cifra dell’interpretazione che Robert Carsen darà a tutto lo spettacolo.
Il finale dell’opera si ricollega, nell’interpretazione del regista, all’inizio, riproponendoci la cantante al proscenio, di nuovo in abiti cinquecenteschi per il trionfo finale e ci ripropone il toccante sentire del compositore circa la funzione della musica, quale unica verità immortale che supera ogni limite terreno (e in questa versione la somiglianza con il commovente finale della “Piccola volpe astuta” opera immediatamente precedente “l’Affare Makropoulos” ci appare ancora più evidente nella ripetizione ciclica degli eventi). Il resto dello spettacolo è tutto su altissimi livelli, degno di un vero “thriller” cinematografico, con un magnifico utilizzo delle luci, curate dallo stesso Robert Carsen e da Peter Van Praet: bellissimo in particolare il cambio di atmosfera repentino che dalla gelida Cina di Turandot ci trasporta nella assolata Andalusia di Carmen. Le scene di Radu Boruzescu sono molto funzionali e suggestive. Splendidi i costumi di Miruna Boruzescu, più da anni Trenta-Quaranta che da anni Venti e fantastici quelli per i velocissimi cambi della protagonista in scena. E veniamo ora alla parte più prettamente musicale: splendida, come già detto, la direzione del Maestro Friedemann Layer, profondo conoscitore dell’opera di Janáček, che ci restituisce ogni prezioso momento della partitura in modo strabiliante; ogni nota ha la sua importanza in questa opera e il Maestro ci trasmette sensazioni uniche accompagnando con passione ma anche caricando di pathos estremo questa musica che a volte ci appare spettrale, come uscita dall’oltretomba. L’Orchestra Sinfonica di Mulhouse ha seguito scrupolosamente i gesti del Maestro permeando la sala del piccolo ma bellissimo teatro di suoni straordinariamente densi e toccanti.
Il soprano australiano Cheryl Barker ha creato uno splendido personaggio: discreto timbro vocale, appassionata interprete, nel finale ci ha donato momenti di reale commozione per il destino della protagonista (raggelante in proposito il momento in cui la cantante esprime il suo dolore viscerale per la vita forzosamente prolungata e rivolgendosi al pubblico dice: “tutto ha un senso per voi…siete felici perché sapete che morirete”). L’unico difetto imputabile alla protagonista può essere quello di un limitato spessore vocale; soprattutto nel primo atto veniva parzialmente coperta dalla potenza orchestrale, ma la prestazione è andata in crescendo nei due atti successivi portando nel complesso ad un’ acclamazione da parte del pubblico seconda solo a quella per il regista.
Il tenore Charles Workman, esperto della parte di Albert Gregor è venuto a capo egregiamente del suo ruolo (disegnato tra l’altro dalla costumista come rassomigliante ad Humphrey Bogart nel film Casablanca ): voce sicura, squillante nelle zone più acute pur con qualche forzatura nel duetto del secondo atto ci è parso un ottimo coprotagonista. Bravissimo poi il baritono Martin Bárta nella parte del Baron Prus, voce di timbro caldo, ottimo legato e figura realmente aderente all’immagine del personaggio. Gli altri interpreti si sono tutti fatti valere per uno splendido lavoro d’assieme: dall’ottimo Hauk di Andreas Jäggi alla splendida Krista di Angelique Noldus, al puntiglioso Vitek di Guy de Mey, al perfetto avvocato Dr.Kolenaty di Enric Martinez-Castignani come anche allo sfortunato Janek di Enrico Casari. Meritano una menzione anche l’inserviente di Nadia Bieber e il macchinista (tra l’altro inserito genialmente da Carsen in mezzo ai veri tecnici della luce) di Peter Longhauer. Insomma uno spettacolo veramente eccezionale da meritare un viaggio oltralpe.
Foto Alain Kaiser – Opéra National du Rhin