Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2010-2011
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani da Le philtre di Eugène Scribe.
Musica di Gaetano Donizetti
Adina ADRIANA KUCEROVA’
Nemorino SAIMIR PIRGU
Belcore FABIO MARIA CAPITANUCCI
Dulcamara ALEX ESPOSITO
Giannetta ERIKA PAGAN
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Bruno Campanella
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Ruggero Cappuccio
Scene Nicola Rubertelli
Costumi Carlo Poggioli
Luci Agostino Angelini
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera,
Roma, 6 febbraio 2011
Lo spettacolo è stato diretto ottimamente dal Maestro Bruno Campanella, profondo conoscitore del melodramma del Primo Ottocento, in particolare di Rossini, Bellini e soprattutto Donizetti: interprete indiscusso di molte registrazioni e rappresentazioni dal vivo, il Maestro riesce a farci compartecipi di questa sua ammirazione per la partitura. L’Elisir d’amore, andato in scena per la prima volta a Milano il 12 maggio 1832 al Teatro della Cannobiana, è il primo vero esempio di rinnovamento dell’opera comica italiana, un mix di patetico agreste con risvolti giocosi che trae le sue radici dalla comedie larmoyante francese. Ma Donizetti la rinnova completamente in uno stile tutto nuovo, dove il patetico è completamente mescolato con la burla senza soluzione di continuità. E questa innovazione sarà compiuta in modo ancora più” drammatico “ nel successivo Don Pasquale. Nell’esecuzione di oggi, il Maestro Campanella ci ha restituito, con un rapporto buca–palcoscenico ottimale, quella elegia profonda che permea tutta la partitura dell’Elisir d’amore con indugi e rallentamenti anche nei momenti più frizzanti, a ricordarci quasi, come se ce ne fosse bisogno, che il compositore di Elisir sia anche lo stesso di Lucia di Lammermoor. L’Orchestra del Teatro dell’Opera ha suonato molto bene, rispettando in maniera molto efficace i desiderata del Maestro. Buona anche la prestazione del Coro diretto dal Maestro Roberto Gabbiani.
Ma veniamo ai protagonisti: finalmente un quartetto di cantanti-attori veramente “giovani”! E per quanto riguarda l’anagrafe lo sono veramente, ma per la loro attività professionale sono tutti dei “veterani”, in quanto hanno tutti all’attivo un discreto numero di incisioni discografiche o video e una lunga esperienza di palcoscenico.
Peccato per il tenore Saimir Pirgu, che era influenzato e con una simpatica “captatio benevolentiae” lo ha comunicato al pubblico dopo “Una furtiva lagrima”. Si era notato infatti un certo affaticamento vocale (rispetto alle sue ottime precedenti prestazioni) già al termine di “Quanto è bella..quanto è cara”, con un fastidioso muco laringeo che ha leggermente incrinato la voce nell’acuto finale. Successivamente, a parte una nota un po’ calante nel finale del primo duetto con Dulcamara, la sua prestazione è andata in crescendo: infatti il suo timbro è molto bello, brunito, caldo, in una voce dal volume piuttosto cospicuo. La furtiva lagrima, pur con qualche incertezza è stata giustamente subissata di applausi. Un Nemorino veramente di alto livello!
Veramente brava e bella Adriana Kucerovà: una delizia ascoltare il giovane soprano slovacco che interpretava Adina, un soprano leggero, ma capace anche di una maggiore carnalità in momenti di puro lirismo come “Prendi per me sei libero”, che ha riscosso un meritatissimo applauso. Certo, in alcuni punti l’orchestra pareva coprirla, ma nondimeno in quasi tutto lo spettacolo ha mostrato degli attacchi veramente seducenti uniti ad un bel legato e ad un timbro mai stridulo o acidulo come invece a volte accade ad alcune interpreti di questo personaggio; il tutto unito a una buona spigliatezza scenica.
Eccezionale poi il Dulcamara di Alex Esposito. Non so se mai il ciarlatano inventato da Felice Romani e Donizetti sia stato rappresentato in questo modo: il più giovane possibile, quasi un ragazzo, con una simpatia innata e un fascino della figura veramente diverso dal solito, con una gestualità istrionica, ma misurata: veramente bravo! A ciò si aggiungano un timbro vocale di raro impatto, un fraseggio perfetto, una capacità di modulazione della voce anche nei momenti più difficili, come il sillabato veloce, e si avrà uno dei migliori Dulcamara degli ultimi tempi. Fabio Maria Capitanucci è un ottimo Belcore: il giovane baritono ha un bel timbro vocale, una capacità di fraseggio molto buona e una notevole presenza scenica, forse sforza un po’ in alcune note acute senza togliere però smalto al personaggio, che viene delineato a tutto tondo. La Giannetta di Erika Pagan, anche se con qualche nota stridula e dei gravi un po’ aperti, riesce comunque funzionale.
La nota meno brillante della serata è stata forse la parte visiva: non che l’allestimento di Ruggero Cappuccio, con scene di Nicola Rubertelli, non presentasse qualche suggestione, ma nell’insieme mancava quel quid che fa sì che lo spettacolo prenda veramente quota. Il regista ambienta l’opera in un mondo onirico, quasi di favola, che ricorda a volte i personaggi di Gozzi (potrebbe somigliare all’Amore delle tre melarance!). Ma questo paesaggio bianco, accecante ricorda più un’isola greca sperduta (potrebbe essere Santorini!) che non il mondo “rustico padano” creato da Donizetti e Romani. E’ vero: si potrebbe obiettare che in fondo anche Elisir è una favola, ma è una favola più realistica, più moderna nella psicologia dei suoi personaggi e invece qui sembra più orientata sui passi dell’opera buffa tradizionale con movimenti stereotipati, più macchiettistici, che forse, avendo a mente anche altri allestimenti dell’opera, possono anche essere suggestivi, ma appaiono oggi un pò datati. Inoltre i movimenti dei cantanti in scena sembravano molto essere frutto della loro personale bravura che non di idee registiche particolari: quando invece queste emergevano apparivano piuttosto inutili (salire e scendere da tre tavoli bianchi o fare una passeggiata a quattro due volte all’inizio del secondo atto non trasmette particolari sensazioni né comiche né patetiche!). E così pure la presenza costante di funamboli, giocolieri, ginnasti distrae non poco lo spettatore in molti punti dello spettacolo, specie nel momento clou dell’opera: durante “Una furtiva lagrima” una ginnasta si arrampica su un drappo rosso simile ad una pertica scolastica, come se stesse facendo lezione di educazione fisica: non c’entra niente!
I costumi di Carlo Poggioli sono belli, ma, come per l’allestimento, un po’ fuori tema: costumi bianchi , fiorati di stampo vagamente orientale potrebbero andare bene per Il ratto dal serraglio o al massimo per un’opera mitteleuropea di stampo bucolico come La sposa venduta. In conclusione, uno spettacolo comunque godibilissimo da non perdere.
Foto Falsini – Opera di Roma