Ravenna Opera Festival, Teatro Alighieri
“BETULIA LIBERATA”
Azione sacra in due parti KV 118, su libretto di Pietro Metastasio
musica di Wolfgang Amadeus Mozart
(New Mozart Edition, Bärenreiter Kassel)
Ozia MICHAEL SPYRES
Giuditta ALISA KOLOSOVA
Amital MARTA VANDONI IORIO
Achior NAHUEL DI PIERRO
Cabri BARBARA BARGNESI
Carmi ARIANNA VENDITTELLI
Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” – Vienna Philharmonic Choir.
Direttore, Riccardo Muti
M° del Coro, Walter Zeh
clavicembalo, Speranza Scappucci
regia, Marco Gandini
scene, Italo Grassi
costumi, Gabriella Pescucci
luci, Marco Filibeck allestimento
coproduzione Salzburger Festspiele, Ravenna Festival
Ravenna, Sant’Appollinare in classe
“BETULIA LIBERATA”
Oratorio per 4 voci, coro e strumenti, su libretto di Pietro Metastasio
musica di Niccolò Jommelli
(Ut Orpheus Edizioni, Bologna)
Giuditta LAURA POLVERELLI
Ozia TERRY WEY
Carmi DIMITRI KORCHAK
Achior VITO PRIANTE
Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” – Vienna Philharmonic Choir.
Direttore, Riccardo Muti
M° del Coro, Walter Zeh
Ravenna, 4 e 5 luglio 2010
Tra le riscoperte che il maestro Muti è solito proporre a Ravenna figurano quest’anno due magnificenze musicali: Betulia liberata, azione sacra in due parti di Mozart (1771) e Betulia liberata, oratorio di Jommelli (1743), entrambe su libretto di Pietro Metastasio, che narra la liberazione per mano di Giuditta della città di Betulia dal tiranno Oloferne, opportunamente adattato dai compositori alle loro esigenze nel numero dei personaggi, che in quella di Mozart sono di più, e nella attribuzione delle parti e quindi delle arie.
L’immagine di Giuditta con in mano la testa sanguinante di Oloferne è stata tramandata da pittori del calibro di Donatello, Botticelli, Tiziano, Rubens, ma nel libretto di Metastasio Oloferne non compare neanche, se non attraverso il racconto di Giuditta, il tema centrale è una disputa teologica sul politeismo e monoteismo, Betulia potrebbe rappresentare la città di Gerusalemme e Oloferne ricorda l’onnipotente Nabucobonosor.
Teatro Alighieri: Betulia liberata con l’inconfondibile invenzione melodica di Wolfgang Amadeus Mozart.
Il colorito fresco e giovanile della scrittura musicale di Betulia liberata, composta da Mozart a soli 15 anni, rispecchia il carattere di Amadeus quindicenne, che si dissocia già da un teatro troppo dotto e antiquato, l’orchestra ha un ruolo fondamentale, sia come controcanto alla voce nelle melodie sia come protagonista degli interludi strumentali. L’Ouvertura (= ouverture) in tre movimenti (Allegro, Andante, Presto), scritta nella scura tonalità di re minore, preannuncia la drammaticità della vicenda, le arie sviluppano i temi degli affetti e anche i personaggi minori hanno arie molto espressive.
L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, preparata egregiamente dal M° Riccardo Muti, entra con disinvoltura nella varietà dei temi e delle dinamiche architetture musicali e restituisce la grazia dell’invenzione melodica inconfondibilmente mozartiana. L’Orchestra e il bravo Philarmonia Chor Wien, preparato da Walter Zeh, creano un suggestivo amalgama sonoro e riempiono il teatro di sublimi sonorità. Al clavicembalo Speranza Scappucci.
La scena si apre su un popolo di derelitti grigi e scalzi, striscianti tra moduli semicircolari inclinati, lavici e ferrigni, che girando su se stessi differenziano anche se di poco gli ambienti, oppressi da una cappa d’inquietudine, propria di un popolo assediato e prossimo alla riscossa. Tra le tuniche incolori e informi della folla spiccano i tre magnifici abiti (nero, turchese e rosso) di Giuditta, arricchiti di ori e gemme. Le masse corali formano suggestive figure d’insieme, la gestualità dei personaggi è molto curata e ben studiato il disegno luci. Scene di Italo Grassi, costumi di Gabriella Pascucci, regia di Marco Gandini, luci di Marco Filibeck.
I cantanti sono giovani e sconosciuti, ma per lo più bravi e ben preparati. Ozìa, principe di Betulia, è interpretato da Michael Spyres, un baritenore americano dal mezzo vocale ben timbrato nei registri medio e grave e chiaro ma corto in acuto. Affronta le lunghe e bellissime arie con dizione comprensibile, voce agile, sovracuti sicuri (“D’ogni colpa la colpa maggiore”), ha buone sonorità in tutti i registri, ma priva dello scintillio riscontrabile nella musica la difficilissima aria del secondo atto “Se Dio veder tu vuoi”, affrontata con poca scioltezza nella coloratura, suoni fissi e rigidi, acuti smorzati o sbiancati in falsetto, buone note gravi scure; è un’aria troppo acuta e troppo mossa per la sua voce che manca di flessibilità e di estensione in acuto. Cabri, capo del popolo, è il soprano genovese Barbara Bargnesi dagli acuti luminosi e belle inflessioni mezzosopranili. Nell’aria di dolore “Ma qual virtù non cede”, con accompagnamento orchestrale danzante, è brava nel porgere e nell’atteggiarsi, nell’eseguire la coloratura e la messa di voce, con attacchi melodiosi e naturalezza d’emissione.
Nelle vesti di Amital, nobile donna israelita, il soprano Marta Vendoni Iorio dà importanza all’intelligibilità della parola, è molto intensa nell’aria centrale “Non hai cor”, esibisce una vocalità flessibile nell’eseguire i trilli e nell’uso della messa di voce nell’aria “Quel nocchier che in gran procella”, usa bene un mezzo vocale che non è di gran peso nella toccante aria con la figura del violino “Con troppa rea viltà”.
Giuditta, vedova di Manasse, è impersonata egregiamente dalla bella moscovita Alisa Kolosova, contralto e mezzosoprano dalla vocalità importante e rara per una cantante di soli 23 anni. Il colore è splendido, il suono è rotondo, denso e fresco nel contempo, grazie al buon peso nella tessitura medio grave e alla luminosità in zona acuta. Esegue con naturalezza d’emissione le agilità della lunga aria dal carattere pastorale “Del pari infeconda”, accompagnata da una musica carezzevole che sottolinea ed arricchisce la melodia. Nell’aria “Parto inerme e non pavento” è splendida nel dosare i suoni e nel modo di porgere. I lunghi recitativi accompagnati di Giuditta che racconta come ha ucciso Oloferne hanno una musica un po’ sommessa, ma il ricamo strumentale più bello dell’aria stessa emerge nell’aria “Prigionier, che fa ritorno”.
Il basso argentino Nahuel Di Pierro (26 anni), nel ruolo di Achior, principe degli Ammoniti, ha un bel timbro vocale e un buon sostegno del fiato. Nell’aria “Terribile d’aspetto”, introdotta da arcate dense e accompagnata da un ricco tessuto orchestrale in cui emerge il gioco dei violini, esibisce un buon corpo vocale, ma poca dimestichezza con la mezza voce che realizza sottovoce. Nell’aria “Te solo adoro” il bellissimo colore si espande in sonorità pastose e robuste, ma il cantante deve stare attento a non far sibilare la pronuncia della “s”. Carmi, capo del popolo, è il soprano leggero Arianna Vendittelli, la quale rivela incisività d’accento nel recitativo che precede l’aria ricca di pathos con musica agitata “Quei moti che senti”, eseguita bene, con bel timbro, pulizia del suono e buoni appoggi nella zona grave.
Basilica di Sant’Apollinare in Classe: Betulia liberata di Niccolò Jommelli.
L’Ouvertura in tre tempi di Betulia liberata di Jommelli è scorrevole e frizzante con suggestivi interventi dell’oboe, del corno da caccia, del cembalo, di un violino solo, della viola da gamba.
Ogni aria ha un’introduzione di diversa natura in base agli affetti e una coda. Nella prima aria di Ozìa (“D’ogni colpa la colpa maggiore”) l’introduzione è briosa, nell’altra più lunga è prima brillante poi densa poi danzante con arricchimenti strumentali, in quella cantabile di Carmi “Non hai cor” è delicata e riservata agli archi, in quelle cantabili di Giuditta è leggera e piacevole in “Del pari infeconda” e pacata in “Ah non più vi chiami il pianto”, in quella di Achior “Te solo adoro” è distesa e in quella di bravura di Carmi “Quei moti che senti” è agitatissima con arcate frizzanti.
I recitativi sono per lo più sostenuti dal basso continuo, ma nei momenti più drammatici è l’intera orchestra che li accompagna. Sul piano esecutivo la parte migliore dell’oratorio tenutosi nella magnifica Basilica di Sant’Apollinare in Classe è stata l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, diretta dal M° Riccardo Muti, che ha fatto arrivare la bellezza della musica ad un pubblico tormentato da una cappa infernale di caldo e di afa dentro una chiesa con le porte chiuse e piena di superfari per le riprese audio-video.
Segue a stretto giro il Philarmonia Chor Wien, preparato da Walter Zeh, un magnifico insieme di 35 elementi, che fa pochissimi interventi eppur sufficienti a far emergere la compattezza e la pienezza del suono.
La parte meno soddisfacente è rappresentata dai cantanti, che forse per le temperature insopportabili, forse per l’acustica poco felice dell’ambiente (nonostante la magnificenza cromatica del catino absidale della basilica, in un teatro sarebbe stato meglio), forse per l’inadeguatezza dell’opera alle loro corde vocali (occorrevano voci più piene e con maggior destrezza nell’articolazione delle parole) hanno solo in parte soddisfatto l’ascolto. Intanto nessuna parola è uscita di bocca in modo comprensibile neanche nei recitativi, i suoni erano udibili in base alla veemenza di emissione. Antonio Giovannini, nel ruolo di Ozìa che richiede una voce contraltile, è un controtenore con registro di soprano, quindi meglio chiamarlo sopranista; nonostante uno spessore modesto ed una zona centrale un po’ vetrosa, il cantante ha rivelato un corretto modo di porgere, una buona estensione con bassi naturali e non costruiti di petto, pulizia e naturalezza d’emissione in zona acuta, agilità nei trilli e nelle puntature acute (“D’ogni colpa la colpa maggiore” “Se Dio veder tu vuoi”). Laura Polverelli, nelle vesti di Giuditta che dovrebbe essere un soprano, è un mezzosoprano chiaro, che, nonostante la buona volontà interpretativa, non è stata tecnicamente soddisfacente, come lo è stata recentemente nel “Flaminio” a Jesi. Dal fondo della chiesa dove io mi trovavo ho sentito mezze voci quasi senza suono, gravi intubati, esplosione di suoni gonfiati (“Del pari infeconda”), articolazione forzata delle sillabe nei recitativi (“Che ascolto, Ozìa”), linea di canto disomogenea, dai pianissimo quasi vuoti ai rigonfiamenti dei suoni acuti (“Udite: Appena di Betulia”). Peccato perché la Polverelli è una brava artista. Dimitri Korchak (Carmi), un tenore opaco dal suono impastato “Non hai cor”, ha una voce ibrida dal brutto timbro, ma tecnicamente è preparato nell’eseguire le agilità (“Quei moti che senti”). Poco controllata l’emissione vocale del basso Vito Priante (Achior), che ha esibito una voce poco aggraziata nel recitativo “Ubbidirò”, mentre nell’aria distesa “Te solo adoro” è emerso il bellissimo colore scuro che conoscevo, una voce timbrata e vibrante, ma coperta dall’orchestra. L’acustica mediocre e clima da sauna… In teatro ci avremmo guadagnato tutti.