Di quest’opera e del suo personaggio Violetta Maria Callas resta l’emblema ed il simbolo anche, in parte, della rivoluzione effettuata nel mondo del melodramma. Verdi, infatti, voleva con quest’opera chiudere il retaggio romantico, rendere essenziale il dramma, sublimare la struttura formale chiusa (arie e cabalette) con mezzi drammaturgicamente coinvolgenti. In questo senso Maria Callas è stata interprete capace di intendere appieno il messaggio verdiano. Se un musicista come Verdi aveva pensato ad una particolare Violetta, questa era Maria Callas.
Se una cantante pareva totalmente calata in un personaggio operistico quella cantante era Maria Callas ed il personaggio Violetta. Non a caso il celebre regista Luchino Visconti, che l’aveva guidata in ben cinque opere diverse, affermerà: “Tutte le Traviate che verranno, tra poco, non subito (perché la presunzione umana è un difetto difficilmente eliminabile) avranno un po’ della Traviata di Maria, un po’, in principio, poi molto, poi tutto. Le Violette future saranno Violette-Maria”.E’ fatale , in arte, quando qualcuno insegna qualcosa agli altri, alle altre. Maria ha insegnato”.
A queste profetiche parole mi permetto di aggiungere un parere personale. Ogni cantante lirico ha in repertorio svariati personaggi. In molti può eccellere, ma solo in alcuni può diventare pietra miliare. A mio parere Maria Callas in tre personaggi è stata inarrivabile: Norma, Medea e Violetta, appunto.Senza fare inutili agiografie, si può asserire che tutti i soprani lirici del nostro secolo nuovo dovranno ancora fare i conti con lei quando affronteranno i succitati personaggi.
E’ inevitabile! Vedremo di approfondire tutti questi concetti durante la disamina critica delle varie interpretazioni di Violetta effettuate durante la carriera dal 1951 al 1958 per ben 63 volte! Vedremo come, se il personaggio sembrava fatto su misura per la sua sensibilità di donna e d’artista, le diverse interpretazioni matureranno sempre più interiorizzandosi ed unendo voce, intelligenza e cuore in uno sforzo straordinariamente coerente e commovente. L’esordio lo si deve far risalire al 14 gennaio 1951 quando, al Teatro Comunale di Firenze, con repliche il 16 ed il 20, Maria è diretta da Tullio Serafin e canta con Francesco Albanese ed Elio Mascherini.
E’ interessante riportare le critiche uscite al primo apparire di Maria Callas nelle vesti di Violetta
. Il critico Doplicher su “Il nuovo corriere” del 15 gennaio 1951 scriverà entusiasticamente e profeticamente:” Maria Callas è stata un’interprete eccezionale di Traviata. Forse passeranno gli anni ed anche noi, come i più vecchi ieri sera, quando ci sarà dato da ricordare il nome, sarà, certamente, quello del soprano Maria Callas. Ricorderemo a lungo questa Traviata per la umanissima, intensa attuazione del personaggio protagonista che ella ha saputo far vivere impegnandosi in profondità secondo tutti gli aspetti, di gioia, di spensieratezza, di passione, di rimpianto e di speranza in una gamma ricca di sfumature!
Entusiastiche anche le parole del critico de “La nazione” che il 16 gennaio1951 scriveva: “Spettacolo dominato da cima a fondo dalla personalità di Maria Callas la quale, interprete per la prima volta del personaggio protagonista, ha creato la figura di Violetta con una poesia, una dolcezza, un ardore cui non è venuta meno neanche un istante una musicalità di alta scuola, una purezza di voce ed una pulitezza di passaggi straordinaria.Quello di Maria Callas è il canto senza aggettivi: una sonorità calda, appassionata, ma insieme fermissima e netta.Una vibrazione interiore continua e slanci, abbattimenti, passioni che si colorano di un’intensa, accorata sensibilità, insieme romantica e modernissima. Aggiungi una sicurezza musicale, un’abilità scenica di prim’ordine, una figura adatta alla parte ed una commozione che si avvertiva vera e sofferta, ma sempre dominata da un’intelligenza e da una classe che non permettono errori”.
Ancora più entusiastiche e comprovanti i concetti espressi poc’anzi le impressioni di Leonardo Pinzauti che, su “il Mattino”, sentenzierà: “A scrivere delle impressioni suscitate da questa grande cantante c’è pericolo di scivolare in suggestioni letterarie. Non si esagera dicendo che nello spettacolo di ieri sera c’è stato chi ha davvero commemorato Verdi (nel cinquantenario della morte) e l’ha riportato tra noi, una volta tanto, col peso di tutta un’epoca, in in sublime candore di poesia. La Callas ha sentito, e non ha avuto incertezze, di dover rappresentare il centro ed il dominante motivo di ispirazione del dramma verdiano. Il suo canto, sorretto sempre da un’accurata ritmica dizione, ha trovato una potenza allusiva difficilmente superabile. Entusiasticamente applaudita anche a scena aperta”.
Nel luglio del 1951 è al Teatro delle Belle Arti di Città del Messico per quattro rappresentazioni dell’opera verdiana. L’autorevole voce del critico messicano Carlos Diaz Du-Pond scrisse:”Maria Callas ha ben compreso le infinite complessità emotive presenti nel capolavoro verdiano. Nel primo atto si convince del destino crudele riservato al suo personaggio. Persino il “brindisi” non è circondato da un’aura di brio, ma viene sostituito da sospiri e mancamenti. Nelle romanze dell’opera e, soprattutto, nei versi belcantistici il soprano ha delineato il personaggio con una variegata infinità di mezzi espressivi”.
Nel giugno 1952 riprende con due recite la tournée in Messico, ma non aggiunge altro alle prestigiose performances dell’anno precedente. Nell’agosto dello stesso anno ottiene, secondo i giornali dell’epoca, un trionfo senza eguali all’Arena di Verona diretta da Molinari Pradelli con Campora e Mascherini. Per tutti il lusinghiero giudizio del critico Dragadze apparso su “Opera” del settembre 1952: “E’ stata un’esperienza indimenticabile. La recitazione di Maria Callas è semplicissima ed ella non sembra fare sforzi, per drammatizzare la situazione fisicamente, perché il colore della voce dipinge chiaramente ogni emozione e sensazione. Il difficile “e’ strano” è stato cantato con tale sbalorditiva facilità e mancanza di sforzo che si e’ avuta l’impressione che ella potesse continuare a cantare all’infinito senza perdere la forza e la perfetta linea di voce”.
All’inizio del 1953 (8-10 gennaio) sostiene ancora una volta il personaggio di Violetta al Teatro La Fenice di Venezia. Diretta da Questa, canta con Francesco Albanese e Carlo Tagliabue e riscuote successo di pubblico, ma non di critica, almeno a stare alle parole non troppo incoraggianti espresse dal celebre critico Pugliese su “Il Gazzettino” del 9 gennaio 1953: “Maria Callas vocalmente ieri sera non c’è stato un solo punto che non abbia saputo superare nella parte tecnica. Ma si e’ risolto tutto il canto in una pura, giusta espressione? Questo è il punto. La spiacevole pesantezza del primo atto è apparsa troppo in contrasto con la frivola, leggera bellezza del brindisi e con quella, prima esitante, smarrita, poi estrosa e brillante, della grande aria. Assai più felice negli atti successivi. I patetici, tersi accenti del “Dite alla giovine”, l’accorato sospiro di “Alfredo, Alfredo” sono da porre fra le sue migliori espressioni… grande cantante senza dubbio è apparsa nella disperata invocazione dell’ “Amami,Alfredo”. Scenicamente ci ha piuttosto deluso. Ed alla staticità della sua azione, persino impacciata, si deve soprattutto, se il personaggio è mancato nei momenti essenziali”.
Dopo qualche giorno la ritroviamo nello stesso ruolo a Roma al Teatro dell’Opera. Qui, diretta da Santini e con Albanese e Savarese, suscitò, con la sua interpretazione, controversi giudizi critici e stroncature ed esaltazioni da parte del pubblico presente. Guido Pannain su “Il Tempo” di Roma del 16 gennaio 1953 stroncò la Violetta della Callas in questo modo: “Maria Callas ha un’ugola eccezionale, ma lasci stare la Traviata. La sua voce, nello sforzo di farsi, contro natura, espressiva, diventa ruvida ed aspra. Torbida, non drammatica. Disumana, non affettuosa. Violetta e’ un’anima, non un campionario di corde vocali. E’ una vita che canta se stessa nell’amarezza dei contrasti in cui si consuma e si libera e la Callas non ha temperamento per incarnarla. Ella è un usignolo meccanico non un usignolo vero. La mezza voce accorata di “Dite alla giovine” svanisce nel falsetto, l’”amami Alfredo”lascia indifferenti. Una Violetta, dunque, senza intima vibrazione”.
Questo giudizio trova eco il giorno dopo su “il Giornale d’Italia” a firma F.L. Lunghi: “Per una volta tanto lo struggente dramma di Violetta non ha trovato la via del nostro cuore. Il pubblico, che ha salutato con una vera ovazione la Callas alla fine del primo atto, ha ripiegato poi in applausi meno unanimi e convincenti”. Interessante il giudizio espresso da Cynthia Jolly su “Opera” del marzo 1953, perché oltre a fare un’analisi personale, descrive, con una nota di costume, le impressioni del pubblico. “La Traviata di Roma si è attirata una tempesta di disapprovazione della stampa locale che ha trovato Maria Callas una Violetta inadatta. Il pubblico, imperterrito, è accorso numeroso a vederla e su di lei ha litigato vivacemente nel foyer. Anche le maschere hanno preso parte. Chi era incanto dalla sua maestria, chi scioccato dalla sua mancanza di sentimento. Indubbiamente un’interpretazione emozionante, da discutere, di una cantante magnifica e capricciosa. Il primo atto riuscì ammirevole anche se antitradizionale se si pensa alla coloratura cinguettante che di solito si dà a Violetta. Non ho mai sentito le duine discendenti di semicrome, quando sente Alfredo fuori scena, eseguite con tale bellezza. Nel secondo atto non riuscì a trovare vera tenerezza o a penetrare il dolore della rinuncia. Nel quarto atto, fulgente in una vestaglia di velluto magenta ed ermellino, non estrinsecò pienamente il dramma, usando mezzi istrionici invece dell’infinita varietà di sottili cambiamenti che Verdi offre”.
Nel maggio-giugno 1955 ritroviamo la Callas al teatro alla Scala di Milano per memorabili recite! L’eccezionalità dell’evento era data non solo per il cast con Giuseppe Di Stefano, poi Giacinto Prandelli nel ruolo di Alfredo e con Ettore Bastiani quale Germont, ma per la presenza sul podio di Carlo Maria Giulini e per la regia di Luchino Visconti. Se si eccettuano due o tre critiche negative, il resto è tutta un’esaltazione dell’interpretazione, in certo senso rivoluzionaria, che la Callas diede al personaggio di Violetta. Su “Il Giorno” Beniamino Dal Fabbro drasticamente: “un gran disastro per l’opera e il pubblico”. E Teodoro Celli: “Nella “Traviata” che pure è l’opera ideale per la voce e l’arte di Maria Callas, il personaggio viene obbligato ad una mimica addirittura violenta che fatalmente andrà a danno dei mezzi vocali”.
Su “il corriere delle sera” del 29 maggio : “Ad un personaggio come Violetta meglio si addice forse una voce meno perfetta ma più calda. Meno iridescente ma più vibrante, meno mirabilmente costruita ma più umana e perfino, ci si passi, più costituzionale cagionevole, una voce che si esprime con l’ardore delle fiamme segrete piuttosto che con lo splendore dei lampeggianti metallici”. Fin qui le riserve. Ora diamo uno sguardo alle critiche in positivo che uscirono all’indomani e dopo qualche giorno dalle recite. Iniziamo la nostra disamina con l’illustre giudizio del poeta Eugenio Montale che allora scriveva come critico su “il Corriere d’Informazione” : “Maria Callas è formidabile. Ha tutto per essere una grande Violetta: forse le manca un po’ di dolcezza; ma chi ha sentito nella stessa parte Elvira De Hidalgo, inerte dopo il brillantissimo primo atto, sa che oggi nessun’altra artista potrebbe radunare le qualità della Callas, soprano “coloratura-tragico” di specie rarissima e forse del tutto nuova. Bisognerebbe scrivere molte pagine per illustrare ciò che ella ottiene in “Dite alla giovine” cantando come una cosa nostra, come uno straccio inanimato; o lo stupendo portamento che inizia il “Gran Dio, morir sì giovine” e dieci altri luoghi che non dimenticheremo. Forse solo la Storchio, che non abbiamo sentito in questa parte, potevano fare tanto”.
E Fedele D’Amico così si espresse: “Un Visconti al meglio della sua investitura registica per Maria Callas, la più sensazionale cantante attrice che oggi conti il teatro lirico”.
Dopo le memorabili recite scaligere, bisognerà attendere il 1958 per rivedere la Callas in questo personaggio. Quattro tappe fondamentali: New York, Lisbona , Londra, Dallas. Harold Rosenthal, raffinato critico inglese, su Opera dell’agosto 1958, a proposito delle polemiche scatenatesi all’indomani delle recite londinesi, così liquidò la faccenda: “Mi dispiace che sulla Violetta della Callas si siano sentite opinioni così contrastanti e mi dispiace anche che certi miei colleghi si siano soffermati sul lato puramente vocale, liquidando in poche parole il complesso della sua interpretazione. Il risultato globale, invece, di una sua recita di Violetta, più di ogni altro ruolo, costituisce un’interpretazione somma, concepita come un tutto organico, come ci capita di incontrare raramente, molto raramente. Qualcun di noi non sta per caso dimenticando che l’opera è teatro in musica e non solo vocalizzazione? La Violetta della Callas merita di essere conservata in dettaglio. Sono certo che passerà alla storia come una grandissima interpretazione”.
Il capitolo sulla Traviata callassiana lo si può chiudere con le ultime due recite sostenute dal soprano allo state Fair Music Hall di Dallas, diretta da Nicola Rescigno con la regia dell’allor giovane Franco Zeffirelli. Rosenfield su “Theatre Arts” stronca la recita in un articolo “Callas a Dallas”. “La Traviataè piaciuta, quantunque la regia di Franco Zeffirelli abbia sopraffatto gli interpreti, Callas e i suoi colleghi. In entrambe le rappresentazioni la Callas è stata insicura e colpevole di tremolii, note aspre ed incerte. Bisogna ammettere che ha recitato da vera Camille e non per Traviata”. Si chiudeva così platealmente l’avventura teatrale di Violetta. Restano i dischi a fare giustizia.