Dramma per musica in tre atti, libretto di Luigi Orlandi. Ensemble da Camera Scarlatti, Stefania Maiardi (Alarico), Maria Carla Curìa (Sabina), Lee-Ji Young (Honorio), Luca Casagrande (Pisone), Loretta Liberato (Semiamira ), Won Mi-Jung Capilupi (Placidia), Guerino Pelaccia (Stilicone), Marco Democratico (Lidoro). Registrazione: luglio 2004, Sonica Studios di Nogaredo (TN) – Su licenza di Centaurus Music. 3 cd “Concerto”, CD 2039-3. Prima registrazione mondiale.
Il compositore di Castelfranco Veneto, Agostino Steffani fu attivo tra Monaco e Hannover. Compose la maggior parte delle sue opere tra gli anni ’80 e ’90 del XVII secolo. I suoi lavori, da Niobe, regina di Tebe (1688) a Henrico il Leone (1689) fino a Tassilone (1709), rappresentano il punto d’arrivo dell’opera di fine Seicento, portata al suo massimo livello stilistico, e il punto di partenza per l’opera seria settecentesca che si sarebbe sviluppata in Germania, in particolare attraverso le composizioni do Reinhard Keiser e di Georg Friedrich Handel, che proprio da Steffani fu incoraggiato alla composizione. In questo Alarico, rappresentato per la prima volta a Monaco il 18 gennaio 1687, è ben chiara la struttura da opera seria: arie in forma decisamente semplice, sostenute sempre dal solo “continuo”, ma già in forma tripartite, si alternano al recitativo “secco”, che sviluppa l’azione. Pressochè assenti i cori (solo all’inizio e alla fine dell’opera) e i duetti o pagine d’insieme. Il problema nell’affrontare questo genere di opere è sicuramente quello di “vitalizzare”, o meglio rendere il meno “faticoso” all’ascolto le 3 ore abbondanti di musica. L’esecuzione in questione, affidata a una compagnia vocale, non certo di specialisti, in tessisture spesso “scomode”, perchè troppo centrali, fa quello che può, ossia molto poco: i “recitativi” sono sempre troppo “cantati” e senza “nervo” e tensione. D’altro lato le arie, sono prive di fantasia, sia nella linea di canto che in quella strumentale. Tutto procede in modo compassato e inamidato, senza che i personaggi abbiano carattere. Credo più che mai che anche in sala d’incisione, sopratutto per questo genere di opere, si deve creare una sorta di regia che caratterizzi e che insegni ad interpretare i “recitativi” per non cadere nell’effetto “tiritera”. Qui pare proprio che sia dimenticati che si sta facendo teatro, sia pur in musica e non “archeologia musicale”!…Peccato!