Venezia, Teatro La Fenice – Stagione Lirica 2009
“ROMEO ET JULIETTE”
Opera in cinque atti. Libretto di Jules Barbier e Michel Carré dalla tragedia “Romeo and Juliet” di William Shakespeare
Musica di Charles Gounod (Versione 1888)
Juliette DIANA MIAN
Stéphano ANNIKA KASCHENZ
Gertrude ANNE SALVAN
Roméo PHILIPPE DO
Tybald FRANCISCO CORUJO
Benvolio ANTONIO FELTRACCO
Mercutio BORJA QUIZA
Paris NICOLÒ CERIANI
Grégorio MATTEO FERRARA
Capulet LUCA DALL’AMICO
Frère Laurent ABRAMO ROSALEN
Le duc de Vérone MICHELE BIANCHINI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore: Carlo Montanaro
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia di Damiano Michieletto
Scene di Paolo Fantin
Costumi di Carla Teti
Coreografie di Roberto Pizzuto
Luci Fabio Berettin
Nuovo Allestimento della Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con La Fondazione Arena di Verona e la Fondazione Teatro Lirico “G. Verdi” di Trieste.
Venezia, 27 febbraio 2009
Tre i motivi che avevano creato curiosità e attesa per questo Romeo et Juliette veneziano: l’opera è di rara esecuzione, l’annunciata presenza di Jonas Kaufmann, tenore molto in voga in questo periodo e la regia del giovane ma ormai affermato Damiano Michieletto. Una delle aspettative è andata delusa: Kaufmann, causa indisposizione ha cancellato il suo impegno in laguna. Mi dispiace perchè ero curioso di risentirlo dopo la sua bella prestazione alla Scala ne “La Traviata” , due anni or sono. Romeo et Juliette opera del romanticismo francese di fine ‘800 è sicuramente una delle opere più ruscite di Charles Gounod, a Venezia viene presentata nella versione grand-opéra del 1888. Ho assistito alla recita con il secondo cast e, devo dire che non sono mancate le sorprese piacevoli. Partiamo dalla regia di Michieletto, veneziano, uno degli esponenti della nuova generazione che più mi ha colpito per genialità inventiva e coerenza. Avevo già avuto modo di vedere altre sue produzioni, ad esempio “L’italiana in Algeri” e “La gazza Ladra” di Rossini, quindi ero sicuro che mi sarei trovato davanti un allestimento moderno, ma mai avrei pensato tanta inventiva, tanta poesia e originalità. L’azione viene spostata ai giorni nostri, la prima scena si apre in discoteca (la festa dei Capuleti) e il regista evita decisamente il versante romantico puntando soprattutto sullo scontro sia generazionale sia gli aspetti drammatici del testo (la disputa tra le famiglie). La scena, di Paolo Fantin, è il piatto di un giradischi con tanto braccio, cuffie e casse acustiche Un elemento fisso che viene spacciato per da ballo, la stanza di Giulietta d’amore ( d’effetto quando le cuffie si trasformano nel letto di Giulietta) e anche nei vari esterni (Giulietta canta all’amato seduta sul braccio del giradischi). Considerando che il dramma del Bardo inglese è stato più volte trasportato al cinema, al teatro, al balletto, al musical con varie e diverse interpretazioni, non posso non considerare che il regista si sia largamente ispirato al film di Baz Luhrmann e abbia messo in evidenza più il testo che la musica di Gounod. L’idea in parte funziona e lo si può anche apprezzare per la grande professionalità e inventiva. Possiamo citare ad esempio, il finale dell’atto secondo, con l’uscita di scena di Giulietta sul giradischi movente, la bella scena d’amore con Romeo (in boxer) o il finale dell’opera con il “piatto” che diventa “letto di morte”. Originale inoltre la sena di padre Lorenzo che dispensa vivande ai barboni nella sua parrocchia. L’attualizzazione delle famiglie Capuleti e Montecchi in due bande punk-rock non fa che rendere veritiere faide da sempre citate nei libri e nei vita di tutti i giorni. A tale provocazioni, ma sottolineo coerenti nel testo e credibili, si aggiungono talune scivolate di gusto, come ad esempio la violenza sulla governante. Alla fine viene anche da dire che l’ingombrante “scena fissa” ha reso pressochè inesistente lo sviluppo drammatico della vicenda, ciò nonostante lo spettacolo ha saputo catturare l’attenzione del pubblico veneziano per oltre tre ore di rappresentazione (con un inutile intervallo, però!). Alla fine un caloroso successo, che ribalta le contestazioni, piuttosto accese, della “prima”. Belli i costumi di Carla Teti, coloratissimi, sgargianti (giallo oro, fucsia, rosa shocking) in netta sintonia con il mondo giovanile d’oggi. Sul versante musicale abbiamo trovato in Carlo Montanaro un buon accompagnatore che tiene il rango, poco variegato e abbastanza routinier, con poco controllo della sezione “fiati” , a volte debordanti. Cast giovane e ben calato nei rispettivi ruoli, attraversi una recitazione frizzante e fresca. Philippe Do è un Romeo preciso e squillante, con quale emissione nasaleggiante, ma nel complesso una buona performance. Lo stesso si può dire per Borja Quiza uno spavaldo Mercuzio dal suono rotondo e ben timbrato. Diana Mian, è stata una volenterosa Giulietta, a cui però fanno difetto un registro acuto assai stridulo e abbastanza limitato, messo a dura prova nell’aria del veleno dell’atto IV (piuttosto imbarazzante!) e banale nel celebre “valzer” d’entrata. Interessante Annika Kaschenz, Stepahno, cantante sicura ma dal volume limitato, e buona la prova di Abramo Rosalen, frate Lorenzo. Molto ben assortita la compagine del ruoli minori ad eccezione del padre Capuleti e del duca di Verona. Buon successo al termine, ma non trionfale.