Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2008
“DEATH IN VENICE” (Morte a Venezia)
Opera in due atti Op. 88 su libretto di Myfanwy Piper.
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Musica di Benjamin Britten
Gustav von Aschenbach MARLIN MILLER
Il viaggiatore/Il bellimbusto attempato/il vecchio gondoliere/
Il direttore dell’albergo/il barbiere dell’albergo/il capo dei suonatori ambulanti/
La voce di Dionisio SCOTT HENDRICKS
La voce di Apollo RAZEK FRANCOIS BITAR
Tadzio ALESSANDRO RIGA
Jaschiu DANILO PALMIERI
La merlettaia/suonatrice ambulante LIESBETH DEVOS
Venditrice di fragole/giornalaia SABRINA VIANELLO
La mendicante JULIE MELLOR
Facchino d’albergo/vetraio MARCO VOLERI
Gondoliere/suonatore ambulante SHI YIJIE
Cameriere della nave/cameriere d’albergo/ Guida turistica WILLIAM CORRO’
Barcaiolo del lido/cameriere del ristorante/un gondoliere/Un prete/
Impiegato inglese dell’agenzia viaggi LUCA DELL’AMICO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Bruno Bartoletti
Maestro del Coro Alfonso Caini
Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi
Coreografia di Gheorge Iancu
Venezia, 27 giugno 2008
L’ultima opera del france doudoune boutique maggiore compositore inglese nasce dopo una lunga gestazione in collaborazione con la librettista Piper (amica personale di Britten) e casualmente si colloca parallela al film del grande regista italiano Luchino Visconti con il quale ne condivide il soggetto tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Mann. Argomento che si basa sul conflitto psicologico del protagonista in rapporto alla vecchiaia, all’estasi della bellezza che qui rasenta tinte addirittura estreme nei confronti di un giovane ragazzino, capace involontariamente di sconvolge la vita di per se già difficile di Aschembach. Monumento del decadentismo letterario viene trasportato in musica con perfetta simbiosi e scrupolosa aderenza al testo riflessa con l‘implicita condizione della morte futura, Britten malato e stanco sarebbe morto di lì a poco, il quale con questo spartito crea un commiato quasi autobiografico e di indiscusso valore artistico, soprattutto per la genialità di aver associato Tadzio ad un ballerino, ne giustifica quasi il limite invalicabile tra danza e voce, il protagonista non comunicherà mai con il ragazzo, ma resta l’influsso introspettivo della crisi interiore che proprio quella figura inavvicinabile, intoccabile, eterea, struggente, porterà alla morte sconsolata e solitaria di Aschenbach. Venezia ha avuto la lungimiranza di scegliere il celebre allestimento di Pizzi (Premio Abbiati 1999) per proporre l’opera britteniana, cha mancava dalla prima continentale a Venezia, allora con protagonista Peter Pears (emblema di tutti i lavori di Britten, nonché compagno di vita).
La cultura e la raffinatezza del regista ha reso bene, sia il fascino dell’ambientazione, Venezia e il Lido, sia la lettura introspettiva del protagonista, scegliendo una collocazione storica stile anni ’40. Gheorge Iancu creava delle bellissime coreografie e i danzatori si adoperavano meravigliosamente, mancava solo il tratto efebico di Tadzio, ma Alessandro Riga è validissimo danzatore. L’ardua parte di Aschembach era ben sostenuta da Marlin Miller, eccellente fraseggiatore, sfumato cantante e ottimo attore; al suo fianco la bella prova di Scott Hendricks nel caratterizzare i diversi personaggi, che lo spartito richiede, con solida e determinata professionalità. Buona la prova del controtenore Razek-François Bitar quale voce di Apollo. Infine, l’elogio più significativo va a Bruno Bartoletti, che ha saputo come pochi guidare la non perfetta orchestra veneziana nello spirito quasi cameristico dell’opera, analizzando a dovere il dettaglio, la carica espressiva e soprattutto il vigoroso respiro drammatico. Il pubblico, alla fine, ha tributato un meritato e convinto successo.