Il centenario dell’operetta più celebre nel mondo Die Lustige Witwe, La Vedova Allegra, di Franz Lehár che cade prossimo 30 dicembre, ci spinge a addentrarci in un mondo musicale un tempo molto popolare e oggi considerato minore, se non addirittura d’avanspettacolo. Ma che cos’è l’operetta e che cosa è stata nella vita sociale del suo tempo?
Innanzi tutto puntualizziamo che per operetta s’intende: uno spettacolo d’argomento giocoso o sentimentale i cui dialoghi in prosa e parti cantate si avvicendano senza una sicura e prevedibile logica esterna, insieme a parti corali e a numeri di danza in un allestimento che tiene particolare conto della ricchezza scenografica. Dunque, non un declassamento, ma un genere a se stante con proprie peculiarità e storia. L’operetta ebbe origine in Francia alla metà dell’Ottocento, si diffuse quindi a Vienna a Londra nell’ultimo quarto del secolo, e conservò inizialmente caratteristiche nazionali, affini agli autori più importanti. L’operetta si rifà nella forma a generi già esistenti nel teatro musicale, come: l’opéra-comique francese, il singspiel tedesco e la ballad-opera inglese, le quali nacquero in opposizione al diffondersi, e successivo monopolio, del teatro italiano nell’Europa del ‘700; ma sua la caratteristica principale è la stretta aderenza a temi attuali, come la satira sociale e politica (autori francesi e inglesi) o la semplice caricatura sociale abbinata al sentimentalismo (autori tedeschi e “danubiani”).
L’operetta, nata in coincidenza dell’affermarsi della borghesia, è stata per lungo tempo considerata uno spettacolo di prosa minore nobilitata dall’apporto musicale, sotto l’influsso del teatro maggiore, ma sempre relegata ad un pubblico provinciale e in teatri di periferia. In effetti, l’esordio dell’operetta riveste un aspetto sociale di rilevante importanza nella vita ottocentesca: il gusto e il piacere borghese. Parole che oggi suonano vetuste ed impolverate, ma che nel secolo scorso rappresentavano l’anima, il pensiero della nuova società, quella stessa che s’industrializzava e progrediva, e voleva salire la scala sociale in base alla proprie battaglie sul campo e non per titoli ereditati. L’operetta si diffuse in breve tempo sia a Vienna sia a Londra, dove fu imitata e copiata quella francese (in particolare Offenbach) importando con lo spettacolo anche il mito, tipicamente borghese, di Parigi come capitale del divertimento della spensieratezza.
La maggior popolarità si ebbe durante la Belle Époque, che coincise con la massima internazionalizzazione del gusto borghese. La fase conclusiva dell’operetta si colloca fra le due guerre, accompagnata dal declino dello stesso spirito borghese ottocentesco. Questo legame fra società e spettacolo operettistico è confermato dalla sopravvivenza dell’operetta nei paesi socialisti e dalla trasformazione dell’operetta in musical-comedy negli Stati Uniti: modelli di divertimento borghese che si sono conservati più a lungo grazie alla loro diffusione a livello popolare, ma per motivi diversi ed opposti. L’operetta stabilisce con Jacques Offenbach, Johann Strauss II e Gilbert & Sullivan i tre modelli archetipali del suo essere, al quale, si accosteranno altri importanti autori con inclinazioni regionali non irrilevanti.
Il primo germe dell’operetta fu la settecentesca The Beggar’s Opera di John Gay con musiche popolari rielaborate (e in parte originali) di Samuel Pepusch che fu rappresentata a Londra nel 1728. Trattasi di una spiritosa satira del costume teatrale del tempo e politico, Gay ha immaginato una commedia preparata da pezzenti per pezzenti, che piacesse ad un impresario per trasferirla in un teatro. Passerà circa un secolo e a Parigi trionfa nell’operetta francese l’infallibile intuito teatrale d’Offenbach, particolarmente sensibile a cogliere le preferenze dei suoi contemporanei, divenendo sì l’espressione del gusto secondo Impero ma essenzialmente un geniale musicista senza rivali nel genere leggero. Egli scelse librettisti azzeccati e geniali (Meilhac e Helévy) e riuscì grazie al suo talento a far applaudire le sue satire più feroci perfino da coloro cui erano indirizzate. Paragonato a un Molière e a Goldoni per il gusto sottile del comico, espresse la massima inventiva melodica in lavori come Orphée aux Enfers, Vie parisienne, La perichole, La Grande-Diuchechesse de Gerolstein, Robinson Crosue, Les Brigands, La Belle Hélène e Barbe-Blue. Altri importanti autori francesi sono stati Charles Lecoq (Le docteur Miracle, La Fille de Madame Angot), Robert Palnquette (Les Cloches de Corneville), Reyanldo Hahn (Ciboulette, Brummel) Leo Delibes (L’omelette à la Follembuche), André Messager (Veronique).
In Inghilterra l’operetta è caratterizzata dal burlesque un genere di spettacolo leggero su soggetti fantastici o parodistici, ma l’evento determinante fu la rappresentazione di Trial by Jury di Gilbert & Sillivan. Composizione caratterizzata dall’influsso di Offenbach (a Londra era usanza tradurre, rielaborare ed adattare opere di altri compositori) ma contrassegnata, come tutti i lavori successivi, da un tono satirico di sfondo sociale con una spiccata predilezione per situazioni comiche bizzarre e inverosimili (il non-sense, tanto caro oltre manica!) unito ad uno stile musicale di brillante imitazione che spaziava da dallo stile italiano all’oratorio handeliano, avendo per risultato un pastiche acceso e gioioso molto attento al testo e alla situazione teatrale.
Passando dal Tamigi al Danubio, l’artista che più d’ogni altro seppe inscrivere nelle scintillante orpello del valzer il lungo epigramma di un impero morente e felice fu Johann Strauss II, il quale riuscì a fondere intimamente il valzer alla struttura dell’operetta rafforzando la duttilità espressiva e conferendo una matrice vitale in grado di assicurarne al proliferazione. La musica di Strauss, e degli altri autori viennesi, è si ritmata dal valzer, ma con un tocco squisitamente viennese e un sentimentalismo elegante dal sapore leggero ed inesauribile. La conferma nel brano An der schönen, blauen Donau, simbolo della città e inno ufficioso della nazione. Apice della sua produzione Die Fledermaus, cui seguiranno Ein nacht in Venedig, Der Zigeunerbaron e Indigo und dir vierzing Räuber e Wiener Blut. Il vasto Impero Austriaco poggia i sui pilastri musicali su tre città Vienna, Praga e Budapest, e raccoglie popoli ed etnie tra loro molti diversi ma accomunati dal fiume simbolo ed economico del territorio il Danubio. Una folta schiera di compositori detti “danubiani” hanno contribuito in maniera determinante alla divulgazione dell’operetta attingendo alle folcloriche tradizioni locali.
Tra questi il più celebre è Franz Lehár che a Vienna ottiene il più clamoroso successo operettistico di tutti i tempi con Die Lustige Witwe. Egli crea un’atmosfera diversa rispetto agli Strauss, il valzer diventa più lento, più languido e i colori orchestrali meno scintillanti, ma con una melodia personale intrisa di nostalgico sentimentalismo. Seguiranno altre composizioni di successo come Der Graf von Luxemburg, Paganini, Das land de Lächelns e Giuditta, ma nessuna eguagliò il successo della Vedova. Franz von Suppé compone a Vienna nello periodo di Struass, si distingue per una nitida caratterizzazione del idee musicali ed un’eleganza melodica personale che lo porteranno al successo con Boccaccio, Die schöne Galatea e Die leichte Kavallerie. Continuatore di Strauss è invece Karl Milloecker, nel quale spiccano passi musicali di frizzante leggerezza (Gräfin Dubarry, Der Bettelstudent). Der Vogelhändler è il pieno successo di Carl Zeller, influenzato principalmente dall’ispirazione melodica dei brani. Leo Fall dalla nativa Moravia porta un vento nuovo nel mondo musicale con Die Rose von Stambul e Madame Pompadur, ma chi particolarmente ebbe una propensione per il pittoresco con temi magiari ed elementi tzigani fu Emmerich Kalman, che con Die Cszrdasfürstin e Grafin Maritza raggiunge la massima popolarità. Infine Oscar Straus (Ein Walzertraum) e Robert Stolz (bisnipote della celebre Teresa) celeberrimo direttore di musica viennese è autore di numerosi valzer canzoni e operette tra cui spiccano Der Favorit e Früling im Prater. Nella sua lunghissima carriera ha vinto persino un Oscar cinematografico.
Di tutt’altra estrazione l’operetta berlinese fondata sullo stile della canzone di cabaret e sui ritmi di marcia derivante dal target del cabaret intellettuale a sfondo satirico peculiarità della cultura berlinese. L’emblema di tale genere è Dreigroschenoper di Kurt Weill, su testo di Bertold Brecht, lavoro che fu esportato in tutto il mondo assumendo spesso anche un valore sociale e politico. Altre partiture cosiddette berlinesi sono Frau Luna di Paul Linke e Der Vetter aus Dingsda di Künneke. Negli Stati Uniti l’operetta ebbe in Victor Herbert (The Singing Girl e Naughty Mariett) e Sigmund Romberg (The Student Prince e The Desert Song) i più felici e prolifici musicisti, ma il gusto americano contaminato prevalentemente dal Jazz e successivamente del rock trasformarono l’operetta in musical, poi spesso realizzato anche in pellicola, contribuendo ad una divulgazione ed un successo clamoroso. Alcuni esempi sono: Show Boat (Jerome Kern), Kiss me Kate (Harold Rome), My fair Lady (Frederick Loewe), West side Story (Leonard Bernstein), Annei, get your gun (Irving Berlin), The king and I (Richard Rodgers), Hello Dolly (Jerry Herman), Hair (Galt MacDermont) e Jesus Christ Superstar (Andrew Lloyd Webber).
Nei paesi dell’est, l’operetta fu uno spettacolo molto prolifico ed incentivato dal regime socialista, anche se i compositori dovevano piegare il proprio linguaggio a quella comunicativa popolare richiesta dalla famigerata Unione dei Compositori per la società proletaria. Compositori come Prokofiev e Sostakovic hanno pagato molto caro il loro contributo musicale, ma furono soprattutto Strlnikove con Lo Schiavo e Dunalvskij con I Fidanzati ad ottenere il maggior successo di pubblico nel genere.
In Italia sì po’ affermare che l’operetta non ebbe terreno fertile come nei casi precedentemente citati. Anche da noi nacque dall’importazione francese e viennese, ed assunse carattere nazionale seppur fortemente legata a componenti locali. Mario Costa, Virgilio Ranzato, Giuseppe Pietri costituiscono la triade portante per circa un trentennio dagli inizi del ‘900. I motivi per i quali in Italia l’operetta non ebbe un significativo rilievo sono molteplici: in primo luogo la mancanza di un teatro di prosa leggero, dal quale attingere trame ed interpreti, in secondo luogo, la mancanza di un tessuto sociale, politico unitario e moderno come punto di riferimento dello spettacolo, che restava circoscritto ad aree dialettali di difficile esportazione; infine la preponderante tradizione lirica che influì negativamente sullo sviluppo dell’operetta, non dimenticando che in Italia il periodo verista e della scapigliatura musicale non ha paragoni con altri paesi per importanza e consistenza. Fra i titoli si annoverano Addio Giovinezza e Acqua cheta (Pietri), Il paese dei campanelli e Cin-Ci-Là (Ranzato), Scugnizza e Posillipo (Costa), La duchessa del Bal Tabarin e La Danza delle libellule (Lombardo). Verso al fine degli anni ’30 prende forma un tipico spettacolo nazionale: la rivista.
Trasformazione teatrale dell’operetta che fino agli anni ’60 trova un terreno fertile e prolifico annoverando in primi soubrette, femme-fatal e comici di prim’ordine: Wanda Osiris, Delia Scala, Anna Magnani, Isa Barzizza, Erminio Macario, Totò, Gino Bramieri solo per citarne alcuni. Alcuni compositori italiani come Pietro Mascagni e Ruggero Leoncavallo hanno tentato la via dell’operetta, il primo compose Il re di Napolie Sì, il secondo La reginetta delle rose e Malbruck, con risultati anche soddisfacenti ma la produzione operistica principale le mise nell’oblio. Anche Parigi vedrà mutare lo spettacolo operettistico, negli anni ’20 e ’30 sorgeranno le Follies Bergèr il Lido e altri locali alla moda che porteranno un certo tipo di spettacolo “varietà alla francese” in parte prodotto del precedente ma con tempi e modi completamente differenti.
L’operetta resta inesorabilmente legata ad un periodo storico e prolifica in vari modi per un particolare incastro di avvenimenti. Oggi è ancora considerata come simbolo musicale-culturale solo nei paesi di area tedesca, che ne hanno sempre mantenuto tradizioni ed esecuzioni di alto livello. In Italia, errando, si considera seconda scelta rispetto al melodramma, con produzioni ripetitive e magari tradotte in lingua locale. Infine, considerando che l’operetta appartiene più alla storia dello spettacolo che del teatro musicale, ma ha tratto l’attenzione non sporadica di celebri cantanti come Jarmila Novotna, Richard Tauber, Fritz Wundelich, Joan Sutherland, Elisabeth Schwarzkopf, Beverly, Sills, e direttori del calibro di Clemens Krauss, Herbert von Karajan e Carlos Kleiber, è doveroso considerare che un’attenzione più curata soprattutto dalle istituzioni musicali (che non dovrebbero limitarsi ai due titoli sopravvissuti e “al botteghino”) porterebbe ad un maggior incremento produttivo dell’operetta, sdoganando confini culturali e folclorici che oggi più di ieri sono saranno accolti da un pubblico sicuramente più attento e cosmopolita.