Novara, Teatro Coccia – Stagione d’Opera 2018-19
“LES MOTS QUI SONNENT”
Due melologhi per Gioachino Rossini, per voce recitante e orchestra
“Metodo per addormentarsi”
Musica di Elia Praderio
“Petit dîner de plaisir”
Musica di Federico Perotti
Voce recitante LUDOVICO D’AGOSTINO
“LA CAMBIALE DI MATRIMONIO”
Farsa comica in un atto su libretto di Gaetano Rossi
Musica di Gioachino Rossini
Tobia Mill DAVIDE ROCCA
Fannì LUCREZIA DREI
Edoardo Milfort SHINICHIRO KAWASAKI
Slook RAFFAELE FACCIOLÀ
Norton FILIPPO QUARTI
ClarinaCRISTIANA FARICELLI
Orchestra Conservatorio “Verdi” di Milano
Direttore Margherita Colombo
Regia Laura Cosso
Scene e Costumi Giulia Capra, Sole Fantini, Marilena Montini
Movimenti Coreografici Emanuela Tagliavia
Coproduzione Fondazione Teatro Coccia, Conservatorio “Verdi” di Milano e Accademia delle Belle Arti di Brera Novara, 17 ottobre 2018
“La cambiale di matrimonio“ di Rossini è uno di quei gioiellini che spesso i compositori ci regalano, e che talvolta risultano più graditi di maestose parure, più pesanti e poco indossabili (come “La scala di seta“ o “L’inganno felice“ dello stesso Rossini, “Bastien und Bastienne” o “La finta giardiniera“ di Mozart, fino, in tempi più recenti, i componenti del “Trittico“ pucciniano, “Erwartung“ di Schönberg o “Freud! Freud! I love you!” di Luca Mosca). Oculata e felicissima, dunque è parsa la scelta del Conservatorio di Milano di affidare alla propria orchestra e alle maestranze dell’Accademia di Belle Arti di Brera la produzione di questa piccola opera stupenda: in primo luogo perché ha la freschezza e il dinamismo del diciottenne che la ha composta; in secondo luogo perché, contemporaneamente, presenta una struttura musicale non da poco, oltre a una specifica gradevolezza, che la rendono degna dei palchi dei grandi teatri. A dirigere la compagine musicale è la Maestra Margherita Colombo, che, con puntualità e temperamento generalmente prudente, conferisce buona coesione ed equilibrio agli strumentisti, e articola i rapporti tra scena e buca – rapporti non semplicissimi, dovuti a una regia rutilante e giustamente attentissima alle dinamiche attoriali che l’opera buffa in genere richiede. Prima dello spettacolo, tuttavia, la direttrice d’orchestra annuncia l’esecuzione di “Les mots qui sonnent”, due melologhi per Gioachino Rossini, selezionati tramite un concorso del Conservatorio: se il primo, dall’eloquente titolo “Metodo per addormentarsi“, ad opera del giovane compositore Elia Praderio, sembra mantenere ciò che promette, proponendo un’orchestrazione originale quanto azzardata, e mescolandovi passi dell’epistolario del Cigno di Pesaro, il secondo (“Un petit dîner de plaisir”) convince di più, rivedendo alcuni loca operistici rossiniani e definendo un maggiore appeal sul pubblico, oltre che una migliore sintesi con i testi, stavolta incentrati sul celeberrimo rapporto che Rossini intratteneva con il cibo; un plauso va dunque al compositore Federico Perotti e all’attore Ludovico D’Agostino per aver sostenuto la lettura di entrambi. Ma veniamo all’agognata “Cambiale”: la regista Laura Cosso imposta in modo fisico il suo lavoro coi solisti, e assegna anche a un nutrito gruppo di figuranti/danzatori il compito di conferire continuo movimento al palcoscenico (sotto la guida efficace di Emanuela Tagliavia); questa scelta è ben calibrata, non distrae né il cantante, né il pubblico, che sempre percepisce un buon senso di insieme. Un merito, questo, da attribuirsi anche alla duttilità mimico-attoriale del cast: a farla da padrona, sotto questo aspetto, sono senza dubbio Davide Rocca e Raffaele Facciolà, nei ruoli di Tobia Mill e di Slook il canadese – baritono e basso, buffi di buona carica teatrale, senza eccessi, fraseggi espressivi su un canto solido ed espressivamente apprezzabile. Ottima caratterista, interessante anche dal punto di vista vocale, è Cristiana Faricelli, interprete della serva Clarina: la sua aria “Anch’io son giovane“ incanta per ironia, ma anche per mostrarci le doti di un’esecutrice di bella linea di canto e brillantezza di timbro. A dominare, tuttavia, sono però Lucrezia Drei e Shinichiro Kawasaki (Fanny e Milfort): la prima mostra, nonostante la giovane età, straordinaria dimestichezza con il canto rossiniano, padroneggiando il canto d’agilità, ma anche la morbidezza (eccellente in “Vorrei spiegarvi il giubilo”), il giovane tenore giapponese, dal canto suo, affascina con un’interpretazione precisa, pulita, e con una voce, magari non grandissima, dal piacevolissimo timbro chiaro, belcantistico. Buona anche la prova del terzo buffo, Filippo Quarti, che parte un po’ in sordina, per emergere con il suo bel timbro rotondo e un’interpretazione convincente. Azzeccatissime, infine, le scelte costumistiche, mentre non del tutto riuscita appare l’assetto scenografico (entrambi dovuti al lavoro di Giulia Capra, Sole Fantini e Marilena Montini), che ricorre a proiezioni peregrine, ma usa anche il divertente stratagemma di riempire la scena di porte, che creino dinamicità nel loro aprirsi e chiudersi. Unica nota davvero stonata di questo piacevolissimo mercoledì sera è la scarsissima risposta del pubblico a questa offerta: un titolo simile, portato in scena da un’orchestra e un team di giovani professionisti, dovrebbe riempire platea, palchi e loggione, e non merita di certo di essere performato di fronte a un Coccia quasi deserto, occupato in larga parte da altri musicisti e colleghi. Sull’inadeguatezza del pubblico d’opera italiano molto si è scritto, anche in questa sede, anche per questa mano, e non si aggiungerà altro che “Peccato: un’occasione mancata miseramente da chi non c’era”. Foto Mario Finotti