Opera di Firenze – Stagione Lirica 2015/2016
“LES PȆCHEURS DE PERLES”
Opera in tre atti di Michel Carré e Eugène Cormon
Musica di Georges Bizet
Léïla LAURA GIORDANO
Nadir JESÚS LEÓN
Zurga STEFANO ANTONUCCI
Nourabad NICOLAS TESTÉ
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Ryan McAdams
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Fabio Sparvoli
Scene Giorgio Ricchelli
Costumi Alessandra Torella
Coreografia Annarita Pasculli
Luci Vinicio Cheli
Allestimento del Teatro Verdi di Trieste
Firenze, 25 febbraio 2016
Un folto pubblico, in gran parte di giovani e giovanissimi, ha seguito con grande partecipazione la seconda replica di quest’opera di sogno e di fiaba.Les Pêcheurs de perles infatti, pur non essendo annoverata tra i capolavori del teatro musicale, è opera dotata di grande fascino, che seduce facilmente grazie alla felicissima inventiva melodica, allo sgargiante, prezioso tessuto orchestrale, alla capacità di ricreare un mondo rarefatto e incantato con momenti di lirismo delicatissimo ed esplosioni di energia sonora. La trama, basata sul consueto triangolo amoroso, è vivificata dalla capacità di un Bizet ventiquattrenne di aderire all’Esotismo, che si stava affermando come una vera e propria moda anche in campo musicale, apponendovi una sua personale cifra fantastica e sognante. Il direttore Ryan MacAdams mi sembra abbia dato un’eccellente lettura della partitura, valorizzando la ricchezza di colori, alternando la delicatezza dei momenti più estatici con la veemenza e la concitazione dei momenti di maggiore drammaticità, offrendo un sostegno al canto morbido e dall’agogica flessibile; con l’apporto di Orchestra e Coro, ai consueti livelli di altissimo professionismo, ha impresso una visione opportunamente giovanile, entusiasta e naïf a questa casta storia d’amore che incanta per le atmosfere in cui è immersa e non certo per profondità di risvolti psicologici. Così, in quest’ottica di fiaba, non esistono personaggi negativi, sia i protagonisti che il popolo obbediscono incolpevolmente alle regole millenarie della loro civiltà oppure, se infrangono queste regole, lo fanno in nome di un amore travolgente e quindi sono automaticamente giustificati e assolti. Coerentemente l’accompagnamento musicale viene condotto dal giovanissimo direttore americano con grande eleganza e nitore, tempi carezzevoli e cullanti, scintillio di timbri e splendore sonoro, senza ombra di violenza, senza strappi o asprezze. Si segnalano quindi il Preludio e la successiva Prima scena con l’ottima prova del Coro, l’impalpabile, delicatissimo accompagnamento del duetto Nadir-Zurga “Au fond du temple saint” e della celeberrima aria di Nadir “Je crois entendre encore”, sulla quale mi soffermerò ancora più avanti; la scena corale che apre il secondo atto, l’accompagnamento all’aria di Leila “Comme autrefois dans la nuit sombre” e ancora di più la resa del grande duetto tra Nadir e Leila con la successione degli stati d’animo di incanto, trepidazione, giubilo. Potrei citare altri momenti particolarmente felici, ma mi basta dire che l’intera esecuzione è stata caratterizzata da grande equilibrio e pulizia, con un’attenzione alla pura bellezza sonora non incongrua con una partitura che ha marcati tratti decorativi. Una simile linea interpretativa richiede un cast vocale fatto di interpreti sensibili, capaci di mettere nel loro canto la giusta dose di poesia tale da rendere sufficientemente credibili e allo stesso tempo irreali e affascinanti i personaggi fiabeschi che agiscono sulla scena. Il tenore Jesùs Leòn, Nadir, ha voce chiarissima, di smalto delicato e timbro gradevole, peso tipicamente da tenore di grazia, ma sufficiente proiezione e notevole facilità nel registro acuto. È capace di sfumature dinamiche, è musicale ed elegante nel canto legato. Quando occasionalmente tenta di ottenere un maggior volume forzando, la sua voce si indurisce, perdendo compattezza, ma finché si mantiene entro i suoi limiti naturali l’emissione è sciolta e il suono carezzevole. Arrivato al punto in cui tutti aspettano al varco il tenore, l’aria “Je crois entendre encore”, arcinota agli appassionati per le interpretazioni che cantanti leggendari ne hanno lasciato in disco, non delude, anzi crea un momento di grande fascino, riuscendo a cantare a mezzavoce su una tessitura indubbiamente scomoda, ricca di sol, la e si naturali da affrontare in piano o pianissimo. Terminando con la tradizionale frase non scritta che porta al do acuto – musicalmente discutibile, ma ben eseguita – raccoglie lunghi applausi e grida di ‘bravo’. L’amico inseparabile Zurga, che diventa fatalmente rivale, ha trovato un interprete maturo e ispirato in Stefano Antonucci. La sua voce, dal bel timbro virile, accusa a tratti una certa opacità e durezza, qualche acuto suona sbiancato e la discesa al grave non è troppo sonora, ma il personaggio è delineato con intelligenza e abilità canora e scenica; nel suo Zurga convivono in triplice dissidio la responsabilità dell’uomo pubblico, che è stato scelto come guida dalla sua gente in virtù della sua bonaria autorevolezza, l’amicizia per Nadir, che ha risvolti di tenerezza tanto pronunciati da sfiorare l’eros, e l’amore per Leila, così ardente da rischiare di accecarlo di gelosia. In tutto il terzo atto, e in particolare nell’aria che lo apre, Antonucci trova accenti efficaci per illustrare la lacerazione e il dolore che lo porteranno alla scelta finale del sacrificio di se stesso e dei propri sentimenti in favore della coppia di amanti-amati. Trionfatrice della serata è stata però Laura Giordano, interprete del personaggio di Leila, che al termine della recita ha fatto meritatamente il pieno di applausi e acclamazioni. Già il suo timbro, che, senza essere bianco, suggerisce giovinezza, ingenuità, purezza è perfetto per la sacerdotessa innamorata; inoltre Laura Giordano ha notevole estensione in alto e un registro medio-grave non voluminoso ma sufficientemente sonoro, grazie all’ottima proiezione di tutta la gamma, padroneggia facilmente le agilità richieste dalla sua parte, è una fraseggiatrice fine e partecipe. La sua Leila ha momenti particolarmente notevoli come l’aria e il successivo duetto del secondo atto, ma si segnala per l’ottimo canto e la partecipazione interpretativa lungo tutto lo sviluppo della sua parte. Sufficientemente autorevole, dotato di bel timbro, non particolarmente scuro, è il Nourabad del basso Nicolas Testé. Del Coro ho già segnalato l’ottima qualità della prestazione data dalla consueta precisione musicale, bellezza e compattezza di suono, che lo accomunano alla qualità e alla professionalità dell’Orchestra. Per quanto riguarda gli aspetti registici e scenici rimando all’articolo di Nicola Lischi che ha recensito la prima. Foto Simone Donati